di Daisuke Gotô (Giappone, 2003)
Il cinema giapponese della perversione non finisce mai di stupirci: anche per questo motivo parlare di un pinku eiga non equivale a raccontare la storia di un filmetto softcore come tanti, proprio perché spesso in queste brevi pellicole tutto ha origine da un’idea malsana alle spalle. Il regista Daisuke Gotô rispetta i canoni del genere, dalla durata (intorno ai sessanta minuti) alla presenza del sesso su cui ruotano gran parte delle vicende, per un film ovviamente realizzato in pochissimo tempo e con un budget molto esiguo.
“Chikan Gifu: Musuko No Yome To…” (questo il titolo originale) parte molto bene: Noriko è una giovane vedova che passa le giornate nella fattoria del patrigno, un uomo di una certa età affetto probabilmente da demenza senile (oppure è completamente matto, decidete voi). Egli infatti è convinto che la sua mucca preferita – ormai morta da tempo – sia ancora viva, così Noriko finge di essere quella bestia lasciandosi mungere dal protagonista. La scena iniziale con la donna a quattro zampe nella stalla ha il suo fascino surreale, ma la costante weird di questa succulenta premessa non viene rispettata e con il passare dei minuti l’erotismo viene anteposto quasi completamente all’aspetto drammatico delle vicende. Certo, si tratta di un pinku eiga e gli amplessi sempre siano lodati, ma in questo caso Daisuke Gotô aveva in mano un soggetto notevole purtroppo sfruttato soltanto in minima parte.
Quando la sorella di Noriko scopre il segreto tra i due, il film ha ben poco da dire, ma l’intervento di una figura esterna almeno smuove una storia fin troppo accartocciata su se stessa per stupire, anche nel rapporto tra i personaggi principali, legati da un morboso feticismo che sarebbe stato opportuno approfondire con maggior veemenza. “A Lonely Cow Weeps At Dawn” ha un titolo poetico e struggente ed è ambientato in quel Giappone rurale dove la solitudine trasforma le persone in mostri o in semplici vittime della quotidianità, un esempio che ritorna con prepotenza anche tra questi fotogrammi (girati discretamente e con un certo realismo, nonostante la scarsa materia narrativa a disposizione). In ambito pinku eiga abbiamo visto di peggio, mi sento però di consigliare questo lavoro esclusivamente agli appassionati di cinema nipponico underground. Quello più bizzarro, sia chiaro.
(Paolo Chemnitz)