La Terra Dell’Abbastanza

la terra dell'abbastanzadi Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo (Italia, 2018)

Quello dei fratelli D’Innocenzo è un debutto che fa ben sperare. I due giovani gemelli, già collaboratori per lo script di “Dogman” (2018), sono infatti reduci dagli applausi ricevuti al Festival di Berlino per “La Terra Dell’Abbastanza” (il titolo internazionale è “Boys Cry”), ennesimo spaccato di un’estrema e controversa periferia romana che i registi conoscono bene (l’infanzia a Tor Bella Monaca non è stata facile per entrambi).
Ma che cosa significa terra dell’abbastanza? E’ un restare a galla con tutti gli espedienti possibili per non naufragare, una speranza che per i due protagonisti del film si trasforma in possibilità, da zero a tutto in una sola notte. Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano) sono due ragazzetti con poche aspettative, parlano di prospettive future proprio mentre rincasano in macchina dopo un’uscita serale. Mirko è alla guida dell’auto e investe uno sconosciuto, quella fuga/omissione di soccorso si rivela però una svolta inaspettata: il morto è un infame che si nascondeva per non essere fatto fuori dal clan del quartiere. Spinti dal padre di Manolo (un egregio Max Tortora in un ruolo da laido opportunista), quell’incidente si trasforma in un omicidio volontario e per Mirko e Manolo – eroi della malavita loro malgrado – si spalancano le porte della criminalità, del potere e dei soldi.
Se il passaggio dalla solita routine al grilletto facile può sembrare un po’ azzardato, quello che successivamente accade ai due ragazzi è solo la naturale conseguenza di un vuoto esistenziale da colmare a tutti i costi. “La Terra Dell’Abbastanza” diventa così un crime movie che si focalizza molto sui personaggi (in particolare Mirko), seguendo a tratti le orme dell’ultimo Caligari senza però quell’ironia dolceamara vista in “Non Essere Cattivo” (2015). I fratelli D’Innocenzo si soffermano sui volti, sugli scontri verbali e sulla fragilità degli sguardi e delle espressioni, lasciando persino in secondo piano l’aspetto ambientale (la suggestiva cornice delle casette colorate a Ponte Di Nona non è sfruttata a pieno). “La Terra Dell’Abbastanza” è quindi un prodotto anche d’autore, girato con buone intuizioni tecniche e con un ritmo narrativo serrato e incalzante. Ovviamente con le sue imperfezioni, a cominciare da un finale frammentato e purtroppo incapace di chiudere il cerchio in maniera convincente.
Tra gli attori, c’è qualche figura di contorno non particolarmente indovinata (Luca Zingaretti è più credibile da commissario che da boss) ma la piacevole sorpresa è rappresentata proprio dalla coppia di giovani scalmanati, amici per la pelle e confidenti come fratelli (dai gemelli D’Innocenzo non potevamo non attenderci questa intrusione nella tematica del doppio), un rapporto complesso ma soprattutto complementare (Mirko è impulsivo e spesso sopra le righe, mentre Manolo è un personaggio schivo che si muove e agisce per sottrazione).
In definitiva, assaporiamo più luci che ombre in “La Terra Dell’Abbastanza”, un film che paga l’appartenenza a un filone cinematografico made in Italy dove si rischia di cadere negli stereotipi di borgata da un momento all’altro: ancora degrado, ancora periferia, ancora quell’accento romano che è pura magia, Damiano e Fabio D’Innocenzo questo lo sanno bene e per fortuna hanno evitato di compiere il passo più lungo della gamba. Un’opera prima da supportare nonostante i difetti, genuina come le emozioni che si respirano ai confini della città.

3

(Paolo Chemnitz)

la terra

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