di Thomas Clay (Gran Bretagna, 2005)
I venti minuti conclusivi di “La Grande Estasi Di Robert Carmichael” (“The Great Ecstasy Of Robert Carmichael”) rappresentano un passaggio obbligato per ogni cultore del cinema estremo. Immagini sadiche e agghiaccianti che all’epoca fecero urlare allo scandalo i benpensanti, eppure quella di Thomas Clay è una storia molto credibile, l’ennesimo ritratto delle nuove generazioni allo sbando.
Newhaven è una grigia cittadina inglese che si affaccia sulla Manica: qui la vita è fatta di routine, di noia, un po’ come era accaduto dall’altra parte del canale con il primo lungometraggio di Bruno Dumont (“L’Età Inquieta”, anno 1997). Robert Carmichael è un ragazzo timido che suona il violoncello, ma la tentazione di trasgredire presto si materializza quando egli inizia a frequentare due suoi coetanei, con i quali condivide l’assunzione di droghe pesanti (ecstasy e cocaina) che lo inducono a comportarsi in maniera antisociale. Se inizialmente le sue azioni restano circoscritte al ruolo di spettatore, è con l’assalto all’interno di una villa che il giovane diventa assoluto protagonista, Robert infatti quella notte si trasforma in una belva e compie un vero e proprio martirio nei confronti di una donna già poco prima umiliata e stuprata dal suo compagno di merende. Un epilogo atroce, fulmineo e devastante, figlio di pellicole intramontabili come “Arancia Meccanica” (1971) e “Funny Games” (1997).
Thomas Clay utilizza il campo medio-lungo per dare maggior risalto all’ambiente in cui si muovono i protagonisti: una scelta che nelle scene più controverse diventa persino geniale, come quando viene ripreso (fuori campo) lo stupro di una teenager durante un festino o ancora nella già citata mattanza conclusiva, uno sguardo realistico che ci offre una visione spietata delle vicende. La quasi assenza di primi piani disumanizza ogni personaggio dell’opera, così come latita (di conseguenza) la psicologia degli stessi, un distacco anti-introspettivo spesso incapace di coinvolgerci emotivamente (inoltre il ruolo degli adulti è trattato con estrema superficialità). Il regista però si perde ancora di più nel voler risultare didascalico a tutti i costi, l’accostamento forzato tra la violenza brutale dei protagonisti e le notizie in televisione sulla guerra in Iraq è infatti banale e tende a supportare un certo intellettualismo da quattro soldi. Un peccato, perché Thomas Clay ha stoffa e si vede.
“La Grande Estasi Di Robert Carmichael” è il classico film che spacca a metà: immondizia insostenibile per qualcuno, un’algida denuncia sociale per altri, chi ha ragione? In questo caso la verità sta nel mezzo, un po’ come scegliere tra Beethoven e la musica techno-hardcore (la colonna sonora prevede sia la quiete classica che la tempesta elettronica). Ma quel finale bestiale non si dimentica e vale mezzo punto in più sulla valutazione complessiva.
(Paolo Chemnitz)