di Alberto De Martino (Italia, 1974)
Alberto De Martino è stato un altro regista nostrano che ha attraversato i generi con estrema nonchalance, passando dal peplum al western nel giro di pochi anni, fino ad atterrare sul versante horror con quelle che sono le sue opere a cui siamo più affezionati, “L’Anticristo” (1974) e il successivo “Holocaust 2000” (1977). “L’Anticristo” si può ancora oggi considerare la più genuina risposta italiana a “L’Esorcista” (1973): il valido “Chi Sei?” (1974) di Ovidio G. Assonitis infatti – nonostante sia superiore sotto molti aspetti al film di De Martino – si è sempre distinto per una formula più internazionale e per un approccio maggiormente legato a “Rosemary’s Baby” (1968) di Roman Polanski (Assonitis all’epoca aveva letto il romanzo che aveva ispirato William Friedkin ma non aveva ancora visto il suo celebre lavoro).
L’incipit rappresenta uno dei momenti più alti della pellicola: Ippolita Oderisi (Carla Gravina) è una ricca nobildonna costretta a vivere sulla sedia a rotelle in seguito a una paralisi causata da un forte trauma subito in passato. Per trovare conforto, la protagonista viene portata presso un santuario dedicato alla Madonna nei dintorni di Roma, dove qui assiste alla liberazione di alcuni indemoniati e al suicidio di uno di essi. Alberto De Martino pesca dai mondo movie proiettandoci nel cuore di un’Italia arcaica e superstiziosa, ma presto il taglio antropologico e documentaristico lascia spazio alla narrazione, trascinando gli eventi all’interno della casa di Ippolita, dove la donna manifesta i sintomi di una possessione satanica scaturita da un percorso di sedute psichiatriche. Il diavolo emerge dal subconscio e per la famiglia di lei è l’inizio di un lungo calvario.
“Questa volta non mi fregherà una merda di crocifisso all’ultimo minuto! Non mi fregherà! Questa volta saldo i conti con la famiglia! Ippolita Oderisi è mia! Vescovi, cardinali, inquisitori, vi fotto tutti!”, quanta blasfemia in queste frasi maligne blaterate da un’anima posseduta. Quando il male entra nel corpo della protagonista, il film vira persino sul trash senza però mai scadere nel ridicolo, De Martino infatti confeziona un lavoro di discreta fattura (la bella fotografia è di Aristide Massaccesi aka Joe D’Amato) che non si limita soltanto alle sfuriate della protagonista (con tanto di vomito verde), lasciando sviluppare un plot sicuramente discontinuo ma capace di dare vita a un approfondimento psicologico tutt’altro che superficiale.
Carla Gravina qui è meravigliosa, un personaggio malinconico e decadente che oscura il resto del cast (da Mel Ferrer ad Alida Valli), una prova superba che ricordiamo sempre con immenso piacere. Possiamo quindi chiudere un occhio sulle varie ingenuità (a cominciare dagli effetti), “L’Anticristo” è una pellicola che si ritaglia il suo dignitoso spazio all’interno del genere demoniaco, spostando in su sia l’asticella della volgarità che quella del barocchismo estetico. Una pesantezza formale che funziona anche a distanza di tanti anni.
(Paolo Chemnitz)