Laissez Bronzer Les Cadavres

let the corpses tandi Hélène Cattet e Bruno Forzani (Francia/Belgio, 2017)

C’è un’attrazione magnetica tra la coppia Hélène Cattet/Bruno Forzani e il nostro paese, non a caso i due registi francesi (stanziati da tempo a Bruxelles) hanno girato “Amer” (2009) a Mentone (a uno sputo dalla Liguria) e “Laissez Bronzer Les Cadavres” in Corsica, con il mare sullo sfondo che si perde oltre i nostri confini. Un voler guardare al cinema di genere italiano e alla sua tradizione, pur rimanendo con i piedi ben ancorati nel proprio recinto di appartenenza, perché le pellicole di Cattet e Forzani citano, destrutturano e rimodellano seguendo un codice assolutamente personale: un pregio (assaporato proprio con “Amer”) che corre lungo un sentiero molto impervio, con il rischio di sbandare alla prima curva (quello che è accaduto con il successivo “L’Étrange Couleur Des Larmes De Ton Corps”, un pretestuoso festival dell’autocompiacimento).
Questa volta Mario Bava e Dario Argento rimangono in disparte, “Laissez Bronzer Les Cadavres” si anima infatti sotto al sole accecante che illumina un angolo selvaggio della Corsica. I primissimi piani (i film di Sergio Leone), il riferimento all’oro (“Se Sei Vivo Spara” di Giulio Questi) e le derive surreali di taglio psichedelico (potremmo buttare nella mischia persino “El Topo” di Jodorowsky) ci fanno subito pensare a un western mediterraneo, nel quale il classico assalto alla diligenza si trasforma in un agguato on the road per rubare un carico prezioso. Il gruppo di malviventi si rifugia dentro un villaggio diroccato in cima a una collina, ma l’arrivo della polizia scatena una sparatoria che ci conduce fino alla chiusura dei giochi (suggellata dal motivo ossessivo di Ennio Morricone ripreso da “Chi L’Ha Vista Morire?”).

laissez pic

Agitazione e frammentazione: per Hélène Cattet e Bruno Forzani i personaggi non hanno importanza, essi si muovono come formiche impazzite all’interno di questo labirinto di pietre, mentre il tempo scorre inesorabilmente (al contrario della dilatazione mostrata in “Amer”, dove tutto ruotava intorno a una figura femminile prima bambina e poi adulta). Il percorso dei due registi transalpini si amplia guardando quindi anche ai ritmi serrati del cinema pulp, ma pure in questo caso l’approccio è solo suggerito poiché “Laissez Bronzer Les Cadavres” mantiene ben saldo il suo delirio antinarrativo, amputando ogni sequenza in maniera chirurgica con una lama affilatissima.
A questo punto per lo spettatore è importante riuscire a metabolizzare il linguaggio caleidoscopico dell’opera: fotografia meravigliosa, sonoro fondamentale, inquadrature mai banali, un paio di scene cult (lo champagne che fuoriesce dalle tette è puro guilty pleasure) ma anche tanto stordimento generale. Qualcuno potrebbe obiettare che questi due maghi della telecamera dovrebbero girare soltanto videoclip: in effetti questa pellicola non è altro che un fumettone divinamente realizzato, ma il cinema è (anche) un’esperienza sensoriale e nel caso in esame lo stile supera e surclassa le evidenti e consapevoli mancanze in fase di script (l’adattamento dall’omonimo romanzo di Jean-Patrick Manchette e Jean-Pierre Bastid si riduce soltanto a un minuscolo dettaglio). L’unica certezza che abbiamo è che “Laissez Bronzer Les Cadavres” (o se preferite “Let The Corpses Tan” nel titolo anglofono) ci riconsegna due registi in forma smagliante, capaci di respingere indietro ogni accusa di presunzione con un prodotto secco, fulminante e bastardo fino al midollo. Lasciamo abbronzare i cadaveri, il sole cocente della Corsica non perdona.

4,5

(Paolo Chemnitz)

laissez bronzer les cadavres

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