di Christoffer Boe (Danimarca, 2011)
Il nome di Christoffer Boe (classe 1974) non è illustre come quello di altri suoi colleghi danesi, ma in carriera ha già diretto una manciata di rispettabili film (il più celebre è “Reconstruction”, uno psicodramma del 2003). In questo decennio, dopo la svolta thriller di “Everything Will Be Fine” (2010), Boe dirige un dramma di confine (“Beast”), una pellicola fulminea di ottantadue minuti buttata giù in sei giorni e girata in poche settimane. Uno script irrazionale, impetuoso e ossessivo, perfetto per dipingere una storia d’amore talmente morbosa da sfociare nell’orrore puro.
Bruno (Nicolas Bro) ama sua moglie Maxine (Marijana Jankovic), ma il loro rapporto è al capolinea: il protagonista si comporta in modo sempre più oppressivo mentre la donna non è più innamorata di lui, infatti lo tradisce instaurando una relazione con un altro uomo. Eppure nella coppia sembra esserci intesa, con gli amplessi che sfociano nel sadomaso (Bruno è attirato dal sangue) e la sensazione che non sia ancora tutto compromesso. Fino a quando Bruno inizia ad accusare delle terribili fitte allo stomaco, come se qualcosa di inspiegabile stesse crescendo dentro di lui, quella bestia a cui fa riferimento il titolo del film.
Christoffer Boe lavora con un budget molto limitato in una gelida e innevata Copenhagen, utilizzando per gli interni il suo appartamento. Il freddo della capitale danese contrasta apertamente con la bollente nevrosi di Bruno, uno stalker incapace di ragionare e distrutto sia a livello psicologico che fisico. La splendida interpretazione di Nicolas Bro (in seguito lo abbiamo rivisto nella prima parte di “Nymphomaniac”) ci trasmette angoscia a profusione, ma in questo caso è l’approccio globale di “Beast” a inoltrarci dentro un tunnel di paranoia e disperazione (con qualche rimando alle opere di Roman Polanski). L’amore è questo dopotutto, una fiamma che brucia e inesorabilmente si consuma, un sentimento dominato da impulsi improvvisi nel quale la vittima e il carnefice possono anche arrivare a scambiarsi i ruoli. Il rischio di diventare bestie accecate dalla paura di restare soli è molto alto, ed è un peccato che il regista danese sia arrivato alla conclusione dell’opera in maniera affrettata, tralasciando alcuni particolari legati al disturbo che affligge il protagonista. Un body horror mancato quindi, anche se in partenza le intenzioni non erano certo rivolte agli aspetti più estremi della vicenda.
“Beast” ha il merito di sbatterci in faccia il lato crudele e ferale dell’amore, non rinunciando a qualche passaggio intriso di violenza: un film realistico e malsano che con pochi mezzi ottiene un risultato sicuramente positivo, alimentato da un oscuro malessere interiore che contamina la carne e lo spirito, minuto dopo minuto.
(Paolo Chemnitz)