di Hitoshi Matsumoto (Giappone, 2009)
“Symbol” è il secondo lungometraggio diretto da Hitoshi Matsumoto, dopo l’incoraggiante esordio di “Big Man Japan” (2007). Per il comico giapponese di vecchia data (Matsumoto è molto popolare in televisione fin dai primi anni ottanta), questo lavoro rappresenta una vetta creativa veramente importante, capace di coniugare profonde riflessioni sul destino e sull’esistenza del divino con un approccio da commedia completamente weird. Il nonsense al potere e non poteva essere altrimenti, ma questo è il cinema del sol levante che ama percorrere nuove strade perdendosi in un mare sconfinato di sana follia.
La pellicola è spaccata da due storie completamente diverse tra loro, la prima ambientata in Messico, dove un lottatore di wrestling detto Escargot Man deve scontrarsi con un avversario sulla carta molto più in forma di lui. Il realismo di questa situazione viene però affiancato (e surclassato) dal surrealismo in cui è immerso un altro personaggio (interpretato da Matsumoto stesso), un uomo in pigiama che si risveglia all’interno di una stanza bianca senza vie di uscita. E’ proprio questa incredibile e straniante vicenda a tenerci incollati allo schermo: sulle pareti di questo enorme parallelepipedo improvvisamente spuntano fuori dei piccoli falli (con riferimento ai putti), ognuno dei quali – se premuto – permette al protagonista di ricevere un oggetto, un indizio o una via di fuga da poter sfruttare. Si sorride amaramente, poiché a lungo andare questa grottesca detenzione diventa snervante non solo per il bislacco omino col pigiama a pois (che impreca e manda a fare in culo senza troppi complimenti!) ma anche per noi, rinchiusi in questo criptico spazio in preda a mille domande (tra cui un immancabile what the fuck?). Soltanto negli ultimi minuti dell’opera il regista sbroglia la matassa, collegando le due storyline e affondando per bene il coltello nel burro: viene svelato il ruolo chiave del malcapitato e si finisce addirittura dentro un concerto parodia dei Kiss! Insomma, un gran casino, che vi piaccia o no.
“Symbol” (“Shinboru”) è il caos che governa le nostre vite, dimensioni che si intrecciano di continuo in un delirio senza regole. Ma se pensate che il lavoro di Matsumoto sia una presa in giro vi sbagliate di grosso, perché non c’è cosa migliore che trattare come un gioco un argomento di tale portata, senza prenderlo troppo sul serio. Un’idea geniale espressa con grande originalità e senza alcun timore, ecco la formula vincente del regista nipponico. Non per tutti i gusti ovviamente, ma ce ne fossero di film così!
(Paolo Chemnitz)