di Jean Rollin (Francia, 1971)
Quando si tratta di affibbiare titoli italiani a film stranieri, abbiamo sempre molta fantasia. Ma soprattutto furbizia, perché se “Le Frisson Des Vampires” diventa “Violenza Ad Una Vergine Nella Terra Dei Morti Viventi” significa voler attirare il pubblico utilizzando tutte le sfaccettature possibili del cinema exploitation: quelle legate alla violenza, al sesso (la vergine) e visto che ci troviamo nel 1971, qualcuno butta in mezzo pure i morti viventi (tanto per citare un George Romero fresco di successi).
Jean Rollin realizza la sua pellicola più celebre ma non la migliore (“La Rosa Di Ferro” rimane il suo apice incontrastato), anche se è proprio questo film che ci permette sempre di ricordare l’immaginario, per certi versi unico, del regista francese. Un cinema rarefatto e dilatato, nel quale la storia viene praticamente lasciata ai margini per fare spazio alle atmosfere gotiche e suadenti che scivolano come una nebbia avvolgente attorno ai vari personaggi.
Isa e Antoine sono una coppia di sposi in viaggio di nozze: prima di raggiungere l’Italia, Isa decide di andare a trovare due cugini (gli unici componenti rimasti della sua famiglia) che vivono in un castello. Giunti in paese, una donna li informa che i cugini sono morti il giorno prima, ma i giovani decidono di recarsi ugualmente nella lugubre dimora, un luogo sinistro nel quale Antoine presto rimane turbato, al contrario di sua moglie Isa che lentamente si lascia sedurre da una donna misteriosa che le appare di notte.
Quello di Rollin è un horror di taglio vampiresco che alterna splendide intuizioni a momenti tutt’altro che esaltanti. Se il ritmo latita fin da subito (conoscendo il regista non è questo il problema), fa sorridere l’apparizione dei cugini che blaterano frasi a sproposito e l’inconsistenza stessa di tutti gli altri personaggi, privi di qualunque spessore psicologico. Per fortuna il pathos è sempre latente e riesce a materializzarsi con alcune scene indimenticabili (dalla femme fatale che sbuca fuori dalla pendola fino alle magnifiche sequenze finali sulla spiaggia). Un talento visivo debitore di Mario Bava (luci e colori) e di un periodo in cui l’erotismo veniva sapientemente arricchito da una componente psichedelica ben strutturata, per un viaggio onirico e fantasmagorico nel vampirismo d’autore. “Violenza Ad Una Vergine Nella Terra Dei Morti Viventi” è un film affascinante ma ovviamente funestato dai limiti di cui sopra: a tutto ciò bisogna aggiungere il fatto che Jean Rollin lavori in un decennio che ormai si è lasciato alle spalle vampiri e castelli, focalizzandosi prevalentemente sulla realtà sociale delle grandi città (spopolano horror e thriller metropolitani). Ecco che così il suo cinema si riduce a un angolo surreale fuori dal mondo, bello da assaporare ma anche vacuo nei significati.
(Paolo Chemnitz)