Rubber’s Lover

rubber's loverdi Shozin Fukui (Giappone, 1996)

Le vie del cyberpunk sono infinite, soprattutto in Giappone. Un impulso partito da lontano (le radici sono disparate, dai vecchi film di Sogo Ishii fino ad “Akira”) e affermatosi nella sua interezza con il capolavoro di Shinya Tsukamoto “Tetsuo: The Iron Man” (1989). Un percorso importante che durante gli anni novanta ha visto emergere un altro regista, Shozin Fukui, salito alla ribalta con il controverso√964 Pinocchio” (1991) e con il successivo “Rubber’s Lover”, per alcuni legato al film precedente ma in realtà da interpretare (forse) come una sorta di flebile prequel.
Questa volta Fukui gira in b/n, memore della fortuna ottenuta dal suo illustre collega, una scelta azzeccata che aumenta il clima claustrofobico della pellicola: ci troviamo all’interno di una laboratorio nel quale alcuni scienziati (che agiscono per conto di una misteriosa organizzazione) eseguono degli esperimenti su delle cavie umane al fine di far sviluppare in loro dei poteri psichici. Tutto ciò attraverso l’uso di droghe e di strumenti medici che fanno pensare soprattutto alle torture del postmodernismo (persino alla Cura Ludovico vista in “Arancia Meccanica”). Ma “Rubber’s Lover” non si ferma ai preamboli, sferrando continui pugni nello stomaco che tramortiscono già dopo i primi venti minuti: uno scenario cupo e industriale, tra tubi di ferro, bulbi oculari e un rumorismo di fondo a dir poco alienante. L’estetica del cyberpunk per l’appunto, supportata da un montaggio ovviamente frenetico e da bruschi movimenti di camera, un continuum che a lungo andare tende a sfiancare i nostri occhi nonostante le interessanti nefandezze che si avvicendano sullo schermo (soprattutto quando i tre scienziati perdono il controllo della situazione).
Con il trascorrere dei minuti “Rubber’s Lover” si impantana in questo manicomio di urla e dolore, ma la rappresentazione della follia rimane comunque ben ancorata al concetto di partenza e Shozin Fukui sotto questo punto di vista sferra dei colpi di tutto rispetto. Confrontata con “√964 Pinocchio”, l’opera dimostra maggiore coesione e compattezza ma allo stesso tempo non riesce a coinvolgere emotivamente, complice la mancanza di un personaggio con il quale identificarsi (il cyborg lobotomizzato del film precedente possiede inoltre una carica iconografica di assoluto valore). “Rubber’s Lover” rimane così una prova interessante ma mai risolutiva, per certi versi troppo debitrice del cinema di Tsukamoto. Peccato però che Fukui si sia fermato praticamente qui, realizzando successivamente soltanto un trascurabile J-horror (“Den-Sen”) e un cortometraggio nel 2009: altri tempi comunque per il cinema cyberpunk, fagocitato nel nuovo millennio dalle derive splatterpunk di “Meatball Machine” (2005) e derivati. Bisogna quindi restare negli anni novanta per ritrovare la vera spina dorsale di una filmografia non sempre di facile assimilazione ma comunque ricca di contenuti estremi e di significati. “Rectal injection for instant effect!

3

(Paolo Chemnitz)

rubber's

 

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