di John Waters (Stati Uniti, 1981)
“Polyester” chiude la fase più amata della filmografia di John Waters. Pellicole e volti indimenticabili: Divine la ritroviamo poi nel musical “Hairspray” (ultima apparizione con Waters nel 1988, poco prima della sua scomparsa), mentre un altro feticcio del regista di Baltimora, l’eccentrica Edith Massey, muore nel 1984. Con “Polyester” John Waters entra negli anni ottanta dall’ingresso principale, anticipando (e ovviamente capovolgendo) tutte le regole del cinema per famiglie di quel periodo. Il film infatti mantiene inalterata la carica dissacrante delle opere precedenti, pur aggirando le assurde esagerazioni del passato (anche la regia diventa meno anarchica e più conforme al nuovo decennio).
Divine interpreta Francine, una casalinga della classe media di Baltimora, brutta, grassa ma almeno illuminata dalla fede cristiana. Un gran bel paradosso, visto che il marito è il proprietario di una catena di cinema a luci rosse, un rapporto tutt’altro che idilliaco presto destinato a concludersi (l’uomo la tradisce con la segretaria). Questa donna disperata (e alcolizzata) è costretta a combattere quotidianamente anche con due figli, una ragazza oca e materialista (Waters inquadra alla perfezione le nuove generazioni americane) e un giovanotto ricercato dalla polizia, in quanto calpestatore di piedi seriale (the foot stomper, idolo assoluto!).
“Polyester” oscilla di continuo tra commedia e tragedia. Il regista distrugge in un sol colpo tutte le sicurezze borghesi, riducendo questo portrait of an american family a un colossale fallimento che ricade tutto sulle spalle della povera Francine, schernita, affranta ma anche pronta a giurare vendetta contro il marito. Si ride amaramente, poiché come sempre queste disgrazie hanno un carattere farsesco in pieno stile John Waters: tutto è meravigliosamente politically uncorrect (“I’m gonna get an abortion and I can’t wait!”), pure lo stesso titolo “Polyester” (che si prende gioco dell’avvento di questo materiale di scarsa qualità tanto reclamizzato in quegli anni). Il livellamento verso il basso della famiglia statunitense, distratta dalla televisione e circuita dal consumismo.
Il film è anche famoso per la celebre trovata della scheda consegnata agli spettatori prima del loro ingresso al cinema: questo foglio, chiamato Odorama (nella foto in alto), aveva dieci zone che una volta strofinate emettevano un profumo diverso (andavano annusate quando sullo schermo lampeggiava il numero corrispondente alla finestra da grattare). Proprio per questo all’uscita nelle sale “Polyester” fu pubblicizzato come “il primo film a coinvolgere pure l’olfatto dello spettatore con fragranze vomitevoli” (anche se a dire il vero l’iniziativa fu un fiasco). Per la cronaca, i dieci odori sono: profumo di rosa, flatulenza, colla per modellini, benzina, pizza, secrezione di puzzola, gas da forno, odore di auto nuova, puzza di piedi e deodorante per ambiente. Un giochino simpatico ma completamente slegato dal resto del film.
Anche se John Waters dopo il 1981 ha continuato a regalarci un cinema per certi versi unico nel suo genere (pensiamo ad esempio allo spassoso e irriverente “La Signora Ammazzatutti”), con “Polyester” si chiude un’epoca gloriosa, un (sotto)mondo costituito da personaggi bislacchi che imperversano tra le strade di Baltimora, offendendo, insultando e dissacrando qualunque fondamento appartenente al quieto (e ipocrita) vivere borghese. “Polyester”, pur nella sua tragicomica leggerezza, è l’ennesimo passaggio obbligato per conoscere questo regista così speciale.
(Paolo Chemnitz)
Lo ricordo, Europa 7 lo dava con una certa continuità
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