The Bedroom

the bedroomdi Hisayasu Satô (Giappone, 1992)

Issei Sagawa è un criminale giapponese salito alla ribalta delle cronache nel 1981, quando a Parigi invitò una sua compagna di studi a casa per poi ucciderla con un colpo di fucile e mangiarsela a pezzi. Ottenuta l’estradizione in Giappone grazie all’influenza del padre, l’uomo restò in carcere poco più di un anno: una volta fuori Sagawa è diventato un personaggio pubblico come tanti altri, ha scritto libri e articoli ed è persino apparso in un film di Hisayasu Satô, “The Bedroom”. Sgombriamo però il tavolo da ogni dubbio, questa non è una pellicola biografica sulla vita di Sagawa (che qui per giunta ha un ruolo marginale), ma è un’opera in pieno stile Satô, povera a livello stilistico ma ricca di controversi significati.
The Bedroom è il nome di una stanza dove le donne abbandonano i propri sensi utilizzando un potente sonnifero (mentre gli uomini sono liberi di tastarle e penetrarle). Kyôko è una moglie delusa, suo marito riesce a comunicare con lei soltanto attraverso la violenza sessuale: sua sorella invece è morta per un’overdose di questa sostanza allucinogena, così presto la protagonista si lascia intrattenere dal corpo di Kei, il giovane ex ragazzo della sorella. In “The Bedroom” veniamo a conoscenza dei deliri di tutti i personaggi – nessuno escluso – quando la stessa Kyôko rinuncia all’assunzione della droga, pur restando in uno stato narcolettico.
Quella di Hisayasu Satô si dimostra ancora una volta una realtà sconcertante, l’ennesimo manifesto di un Giappone alienato, incapace di sviluppare rapporti interpersonali tra i suoi abitanti. Una società malata, completamente allo sbando. “The Bedroom” è un film sulla solitudine filtrato attraverso l’utilizzo della tecnologia (è solo il 1992 ma il regista sembra già conoscere le sorti dell’umanità). Il cybersex qui diventa lo snodo centrale dell’opera, una pratica che stimola ma allo stesso tempo priva ogni individuo della propria identità, lasciandolo in preda a un istinto primordiale perso tra le luci psichedeliche di una fotografia volutamente satura di colori. Contemporaneamente, la pellicola mostra tutti i suoi limiti dettati ovviamente da un budget ridicolo e da una regia molto (forse troppo) spartana, nonostante il breve minutaggio attutisca questa sensazione di noia che a un certo punto si impossessa dei nostri occhi. Il cinema di Hisayasu Satô è questo, prendere o lasciare, un mostro tentacolare che si muove in maniera contorta portando all’eccesso la vita quotidiana delle persone, tra erotismo perverso e nuovi livelli di percezione che spesso sfociano nel surreale. Per conoscere la punta dell’iceberg (nonché il suo film più riuscito), il consiglio è quello di recuperare “Naked Blood” (1996) e poi in caso tutto il resto (decine e decine di lavori underground), consapevoli che quella del regista nipponico è un filmografia di non facile comprensione e fruibilità. Un cinema terminale, come giustamente lo ha definito qualcuno.

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(Paolo Chemnitz)

the bed

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