di Dario Argento (Italia, 1982)
Con “Tenebre” Dario Argento fa il suo ingresso in un decennio completamente differente da quello precedente. “Inferno” è del 1980 ma è ancora legato a doppio filo all’horror (non a caso è il secondo capitolo della trilogia delle tre madri, dopo “Suspiria”). Ma non bisogna neppure leggere questo ritorno al giallo come un passo indietro verso le origini, poiché “Tenebre” – nonostante mantenga alterate molte dinamiche tipiche del cinema thriller argentiano – rappresenta un nuovo inizio, un raggio di luce accecante che a dispetto del titolo si irradia di continuo tra le bianche e asettiche scenografie. A cosa si riferisce allora Dario Argento quando parla di Tenebre? Al libro (“Tenebrae”) da cui l’assassino prende spunto per commettere i suoi omicidi, ma anche al buio interiore nel quale sono immersi i protagonisti del film, in particolar modo chi è cresciuto con un’inestirpabile trauma infantile (altro punto di contatto tra questa pellicola e i vecchi lavori del regista). Curioso il fatto che questo lungometraggio condivida le stesse location viste in “L’Eclisse” (1962) di Michelangelo Antonioni, ovvero le fredde geometrie del quartiere EUR a Roma. Un richiamo non casuale, poiché il celebre Alain Resnais parlando del film di Antonioni dichiarò: “il regista ci invita a scoprire le tempeste che si agitano all’interno dei personaggi”. Individui che si muovono dentro anonimi paesaggi vuoti, esattamente come avviene in “Tenebre”.
Gli anni ottanta segnano anche la massificazione definitiva della televisione, ormai entrata nelle case di tutti gli italiani come strumento di intrattenimento quotidiano. Dario Argento coglie la palla al balzo mostrandoci una serie di personaggi ben vestiti e dalla faccia pulita, come se fossero appena usciti da un talk show pomeridiano: a tal proposito la scelta del cast risulta azzeccata, un ventaglio di nomi scelti con astuzia e tutti calati perfettamente nel ruolo (da Anthony Franciosa nei panni dello scrittore fino a Giuliano Gemma nelle vesti del detective, senza dimenticare la presenza perturbante di Eva Robins). “Tenebre” è quindi il thriller italiano dell’epoca televisiva per eccellenza, il film dei non luoghi (pensiamo all’aeroporto mostrato in apertura o al centro commerciale) e delle gelide architetture di questo affascinante quartiere romano (squarci surreali che già avevano segnato un titolo cult come “Le Orme” di Luigi Bazzoni).
Dario Argento in questo film mostra tutta la sua dimestichezza con la telecamera: un lavoro sontuoso di tecnica che non lascia mai nulla al caso, al contrario della sceneggiatura (dello stesso Argento), a tratti farraginosa e non sempre capace di procedere con il giusto equilibrio. Si tratta comunque dell’unico vero punto debole della pellicola, visto che tutto il resto funziona a meraviglia. La colonna sonora del trio Morante-Pignatelli-Simonetti è formidabile, ma è il sangue a farla da padrona, con un body count elevatissimo per la gioia dei cultori dello splatter: impossibile non citare la scena da guilty pleasure del terribile omicidio di Jean (Veronica Lario, futura moglie di Silvio Berlusconi!), immagini che subirono pesanti tagli censori durante i passaggi in TV (il film invece uscì in sala con il divieto ai minori di diciotto anni).
“Tenebre” è il cinema di Dario Argento che si evolve mantenendo però la sua coerenza stilistica, un avanzamento consapevole e al passo con i tempi che non rinnega in alcun modo una formula rodata e condivisa dal (suo) pubblico. Gli ultimi battiti importanti (incluso il successivo “Phenomena”), prima degli scricchiolii (“Opera”) e della definitiva caduta libera.
(Paolo Chemnitz)