di Ulrich Seidl (Austria/Francia, 2007)
Fatta eccezione per il fulminante “Canicola” (2001), i film di Ulrich Seidl non sono mai stati distribuiti in Italia, neppure in edizione home video. Un vero paradosso, poiché si tratta di un regista tra i più significativi del nuovo millennio, da qualcuno frettolosamente bollato come una controfigura minore di Michael Haneke. I due però hanno in comune soltanto la provenienza austriaca e l’approccio chirurgico nella messa in scena: non a caso, Seidl ha dimostrato negli anni di possedere una propria spiccata personalità, sia dal punto di vista tematico (pensiamo alla singolare trilogia amore fede speranza) che da quello puramente registico (il suo passato da documentarista è riaffiorato con prepotenza nei suoi ultimi lavori, “Im Keller” e “Safari”).
“Import/Export” è un’opera spaventosa, un affresco nichilista del nostro continente diviso dai confini ma unito dai problemi: l’Austria da una parte e l’Ucraina dall’altra, comunità europea ed ex Unione Sovietica. Quella di Seidl è una storia di scambio non commerciale tra questi due paesi (anche se il titolo suggerisce il contrario), esseri umani come beni di consumo alla ricerca di un posto nel mondo per sopravvivere con dignità.
Olga è un’infermiera ucraina costretta a calpestare se stessa pur di racimolare qualche soldo (addirittura nei call center a luci rosse), mentre Pauli (austriaco) è un’aspirante guardia giurata alla disperata ricerca di un lavoro. La ragazza parte alla volta di Vienna, al contrario del giovane diretto a est in compagnia del suo ambiguo patrigno (il quale traffica in slot machine). Entrambi incontrano enormi difficoltà nel rapportarsi con il prossimo, tutte tratteggiate dal regista con un realismo disarmante: ce lo ricordano le immagini dei casermoni socialisti circondati dalla neve, le sequenze della prostituta umiliata oppure le strazianti scene girate in una casa di cura per anziani, dove Olga trova un impiego come donna delle pulizie.
Ulrich Seidl ci sbatte in faccia la quotidianità di questi individui, aggirando la finzione politicamente corretta per mostrarci l’essere umano in tutte le sue debolezze: dal dolore per la solitudine e la malattia all’imbarazzo per un’erezione mancata o per una dentiera che non riesce a venir via. In attesa della morte (Tod), quella puzza di putrefazione che corrisponde all’ultima parola pronunciata prima che cali giù il sipario.
Il personaggio di Olga è ottimamente caratterizzato, una donna sensibile che vorrebbe aiutare con un sorriso quei poveri malati che però non può nemmeno sfiorare (“sai che è contro le regole? Eri un’infermiera in Ucraina, qui sei solo una donna delle pulizie”). È proprio attraverso la sua figura che passa la più imponente riflessione del film, quella legata alla bontà e all’umanità insita nelle persone, sentimenti (rari) che appartengono al singolo e che non hanno colore o bandiera. La merda esiste ovunque e la metafora di “Import/Export” simboleggia questo movimento est-ovest (e viceversa) che non trova sbocchi, proprio perché si scontra di continuo con un muro insormontabile di freddezza e cattiveria. Nulla può attutire il disagio esistenziale, se non la morte.
(Paolo Chemnitz)
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