di Árpád Sopsits (Ungheria, 2016)
E’ una curiosa coincidenza il fatto che nel 2016 siano usciti due film praticamente speculari, uno in Polonia e un altro in Ungheria. Nel primo caso, ci riferiamo a “I’m A Killer” di Maciej Pieprzyca, la storia vera di un omicida seriale che terrorizzò la zona della Slesia nella seconda metà degli anni sessanta. “Strangled” (“A Martfüi Rém” nel suo titolo originale) si sofferma invece sulle gesta di un famigerato serial killer ungherese attivo nella provincia centro-orientale a cavallo tra i 50s e i 60s. Al contrario del suo corrispettivo polacco però, il film di Árpád Sopsits non analizza esclusivamente l’aspetto investigativo, intrecciando la narrazione su vari livelli e su una serie di personaggi tutti in qualche modo coinvolti nelle vicende.
Ákos Réti è innamorato di una donna che non sembra affatto interessata a lui: quando la ragazza esce dalla fabbrica di scarpe dove lavora, l’uomo la trascina in un luogo isolato e la uccide barbaramente. Ákos finisce all’ergastolo in attesa di essere impiccato, ma sette anni dopo gli omicidi riprendono senza sosta e con modalità molto simili, anche se gli investigatori non appaiono per nulla interessati a riaprire il caso (durante il comunismo trovare subito un capro espiatorio significava attestare il valore e l’efficacia della macchina statale). Solo il giovane procuratore Zoltán Szirmai – appena arrivato dalla città – rimette in moto quella che ormai sembrava una storia chiusa, cercando prima di tutto di risvegliare il senso civico di una comunità vigliacca e omertosa.
“Strangled” gode di un’ottima ricostruzione scenografica e di una bella fotografia notturna, capace di farci immergere totalmente nelle sinistre atmosfere di questo paesino della grande pianura rurale pannonica. Inoltre il regista Árpád Sopsits non ci risparmia particolari cruenti, tra delitti dal retrogusto necrofilo a una scena di sodomizzazione forzata nelle docce del carcere. Meno credibile la sceneggiatura, in alcuni casi tirata per i capelli e piuttosto ripetitiva (almeno nella prima parte del film), un freno che inficia moderatamente sul risultato complessivo ma che comunque comporta una narrazione gestita con poca limpidezza, soprattutto se rapportata ai tanti personaggi che si avvicendano sullo schermo (alcuni interpreti sono bravi, altri meno). Due ore che scorrono via discretamente, un ennesimo spaccato storico che ci racconta le paure e le contraddizioni del blocco ex sovietico. Interessante ma non imprescindibile.
(Paolo Chemnitz)