di João Pedro Rodrigues (Portogallo/Francia, 2016)
“Chiunque si avvicini allo Spirito sentirà il suo calore. E il suo cuore sarà innalzato a nuove altezze”, questa la frase posta in apertura del film e attribuita a Sant’Antonio da Lisbona, per noi da Padova. Ma il luogo di nascita e quello di morte non hanno importanza, poiché il regista João Pedro Rodrigues qui è interessato esclusivamente al viaggio mistico del protagonista, una metamorfosi che simboleggia appunto la trasformazione del giovane Fernando (interpretato magistralmente dall’attore e modello francese Paul Hamy).
Il film inizialmente ha un taglio documentaristico, Fernando infatti è un ornitologo che si avventura in solitario in una zona aspra e disabitata a caccia di uccelli. Quando la sua canoa si ribalta sulle rapide di un fiume, egli viene salvato da due ragazze cinesi in pellegrinaggio verso Santiago di Compostela. In questo preciso istante accade qualcosa che permette a Fernando di mutare pelle, un cammino dai contorni spirituali e visionari che lo porta sulla strada della santità. Con una trama simile potreste pensare a un’opera agiografica sulla vita di Sant’Antonio: in realtà lo è, ma se un prelato dovesse per caso imbattersi in un film del genere, rimarrebbe a dir poco scioccato. Fernando, prima di tutto, è gay. Inizialmente parla al telefono con il suo compagno e successivamente intrattiene una relazione con un pastore sordomuto (li vediamo distesi insieme in un rovente nudo integrale). Ma tutto il percorso dell’uomo è segnato da incontri e situazioni al limite, un rituale di passaggio che nella fitta vegetazione sembra non trovare mai uno sbocco definitivo.
Ci sono alcuni elementi che concettualmente accomunano “O Ornitólogo” con “Sebastiane” (1976), il primo potente lungometraggio del compianto Derek Jarman: in quel caso il regista britannico racconta di un avamposto romano dove alcuni soldati si abbandonano al piacere omosessuale. Tra di loro, un certo Sebastiano, rifiuta le avances di un centurione romano. Il film di Jarman praticamente segue le vicende apocrife della vita di San Sebastiano, mentre quello di Rodrigues fa la stessa cosa con quella di Sant’Antonio, due registi entrambi gay e quindi legati da una spiccata passione per la cinematografia LGBT (il cineasta portoghese era già salito alla ribalta per i controversi “O Fantasma” e “Odete”).
Il lavoro di Rodrigues si esprime al meglio con la regia (Pardo d’argento a Locarno) e con la maestosa fotografia, peculiarità che si insinuano con assoluta padronanza del mezzo tra le immagini dell’opera. Anche perché – con i dialoghi ridotti all’osso e con un plot più criptico che rivelatore – il rischio di sbandare alla prima curva è da prendere in considerazione.
“O Ornitólogo” rappresenta la pellicola più ambiziosa e significativa tra quelle dirette dal regista di Lisbona, un affresco solo in apparenza sacrilego, poiché nulla è più genuino di un’esperienza interiore a contatto con un mondo superiore all’uomo, quello della natura. Sacro e profano, religione e tradizione, erotismo e sacrificio, tutto sembra oscillare tra queste parole chiave che tanto hanno da condividere con la figura ambigua del nostro protagonista, in un film che non è altro che una coraggiosa quanto affascinante allegoria.
(Paolo Chemnitz)
Sembra interessante, recupero
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