di Marc Meyers (Stati Uniti, 2017)
Jeffrey Dahmer è stato uno dei più noti serial killer statunitensi, responsabile di diciassette omicidi effettuati tra il 1978 e il 1991 con metodi particolarmente cruenti (contemplando atti di violenza sessuale, necrofilia, cannibalismo e squartamento, tutte pratiche che gli valsero l’appellativo di Mostro di Milwaukee). Egli fu condannato all’ergastolo nel 1992 per poi essere ucciso due anni dopo da Christopher Scarver, un detenuto sofferente di schizofrenia.
“My Friend Dahmer” è il film che racconta la vita di Jeff durante gli ultimi anni del liceo, poco prima della separazione dei suoi genitori e del suo primo delitto (ai danni di un autostoppista da lui condotto in casa, poi colpito con un bilanciere, soffocato e smembrato). Ma come è stato possibile raccogliere tante dettagliate informazioni su questo timido teenager? Semplice, sappiamo molte cose grazie al suo compagno di classe John Backderf detto Derf, un illustratore che nel 2012 ha pubblicato una graphic novel dedicata proprio a Jeffrey. Derf amava ritrarre il suo amico fin dai tempi della scuola e il suo lavoro ha convinto il regista Marc Meyers a tirare giù la sceneggiatura del film, una fedele ricostruzione biografica che appassiona sì, ma fino a un certo punto.
Un bravo e credibile Ross Lynch interpreta il protagonista, un ragazzo chiuso e impacciato con più di una difficoltà a inserirsi nella comunità: invece di trascorrere il tempo con i compagni di classe, il giovane Jeffrey preferisce sciogliere nell’acido le carcasse degli animali morti (il padre è un chimico e per il figlio è facile procurarsi il materiale per compiere tali esperimenti). Di lui colpiscono già le prime turbe psichiche, come quando finge di avere improvvisi attacchi di epilessia nei corridoi del suo istituto, ma Jeff è tremendamente affascinato dalla morte e il suo comportamento diventa sempre più antisociale e pericoloso, fino ai tragici avvenimenti saliti alla ribalta delle cronache.
Marc Meyers dirige in maniera lineare (anche troppo) una pellicola che parte con un piglio convincente ma che presto si siede per terra senza più offrire spunti degni di nota. Colpa di un plot ridondante che si limita a riproporre la quotidianità del protagonista immortalandolo in varie strambe situazioni, senza però un affondo psicologico decisivo. Sia chiaro, “My Friend Dahmer” non è affatto un film da buttare e in alcuni frangenti coinvolge e tiene incollati allo schermo, ma sono tanti i fattori decisivi che vengono trascurati (il rapporto con i genitori è solo accennato e probabilmente nasconde la chiave dei disturbi del giovane). Quello che riusciamo a percepire dalla visione dell’opera è che Jeffrey Dahmer non era altro che uno schivo teenager dalla psicologia molto fragile e distorta, un ragazzo dotato comunque di una particolare intelligenza: freddi calcoli e impulsi improvvisi, in attesa della storia che noi tutti conosciamo. Quella di Dahmer adulto, sicuramente più affascinante di questa.
(Paolo Chemnitz)