Campus e scuole. Il cinema dei massacri in cinque film fondamentali

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Ci risiamo. È almeno di diciassette morti e decine di feriti il bilancio della strage compiuta nella Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in Florida. Il responsabile, tale Nikolas Cruz (già espulso dall’istituito poiché considerato una potenziale minaccia), si è introdotto nella scuola indossando una maschera antigas e utilizzando un fucile d’assalto semi-automatico. Un giovane classe 1998, neppure ventenne, ma già istruito alla perfezione sull’uso delle armi. Il Presidente Donald Trump ha twittato così: “nessun bambino, nessun insegnante o qualunque altra persona dovrebbe mai sentirsi insicuro in una scuola americana”. Il solito commento di circostanza per un problema reale che da sempre fa parte della società statunitense, quello legato alle armi.
Sono trascorsi neanche cinquanta giorni dall’inizio del 2018, eppure sono almeno diciannove le scuole americane in cui si è verificato un fatto di questo genere. Si può estirpare o comunque limitare questa continua carneficina? La risposta è no, poiché le lobby legate alla diffusione delle armi hanno un potere sconfinato sulle scelte politiche statunitensi. Inoltre, l’uso di pistole e fucili fa parte del DNA di molti cittadini: dopotutto, dalle sparatorie nel far west a quelle metropolitane, il passo è più breve di quanto possa sembrare. È la cultura delle armi già raccontata da Michael Moore in “Bowling A Columbine” (2002), perché premere un grilletto è un gioco talmente facile che tutti possono permetterselo, almeno negli States.
Il cinema ha affrontato l’argomento sotto vari punti di vista: oggi prendiamo in esame cinque pellicole completamente incentrate su questa delicata tematica, sia attraverso minuziose ricostruzioni di stragi realmente accadute, sia con uno sguardo universale sull’orrore causato da questo triste scenario. Anche per questo motivo, abbiamo volutamente lasciato fuori dalla lista opere molto valide come “…E Ora Parliamo Di Kevin” (2011) o “Blackbird” (2012), le quali toccano soltanto in parte il soggetto in esame e che comunque potete approfondire nelle rispettive recensioni presenti sul sito. Ci sono poi molte altre testimonianze cinematografiche di taglio simile, praticamente un genere a se stante denominato con l’eloquente appellativo di school shooting movies. Ma già questa cinquina incute timore.

ELEPHANT (2003) di Gus Van Sant

“Elephant” rappresenta la punta dell’iceberg di questo filone, una pellicola meritatamente celebrata al Festival di Cannes nel 2003 (Palma d’Oro e miglior regia). Il film è liberamente ispirato alla famigerata strage della Columbine High School, non lontano da Denver, dove nel 1999 persero la vita dodici studenti e un insegnante. La narrazione si dipana nell’arco di un’intera giornata e Van Sant è bravo nel saper gestire magnificamente ambienti e personaggi. La telecamera segue i protagonisti nei lunghi corridoi della scuola e attraverso alcuni piani sequenza ci rende testimoni distaccati di una strana quiete prima della tempesta. Le motivazioni dietro il gesto scellerato dei due esecuori? Bullismo, emarginazione e disturbi psichici. “Elephant” però si spinge al limite del documentaristico, spiando ma non giudicando le terribili dinamiche dietro questo agghiacciante massacro.

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BANG BANG YOU’RE DEAD (2002) di Guy Ferland

Questa coproduzione tra Stati Uniti e Canada abbraccia l’argomento della strage scolastica ma si muove al contrario rispetto agli altri titoli. Trevor è un ragazzo reduce da una profonda depressione: i suoi compagni di classe lo scherniscono di continuo e viene persino disprezzato dai suoi professori, tranne uno. Il giovane, tramite un atto intimidatorio (una bomba finta piazzata nell’istituto) cerca di prendersi la sua rivincita personale ma viene sospeso, finché un giorno rimane coinvolto in un vero progetto volto a sterminare studenti e insegnanti. Questo gruppetto di ragazzi fanatici delle armi da fuoco vuole che anche lui faccia parte della spedizione punitiva, ma il piano non va a buon fine. In questa pellicola – girata senza grandi pretese tecniche – il regista allude alla strage di Columbine ma punta il dito soprattutto sulle istituzioni, completamente assenti e incapaci di ascoltare le problematiche dei giovani. La scuola in questo caso fallisce, anche se il protagonista riesce a redimersi grazie all’aiuto di un uomo intelligente e comprensivo.

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ZERO DAY (2003) di Ben Coccio

“Zero Day” è contemporaneo a “Elephant” e forse anche per questo motivo è rimasto oscurato dal successo del suo illustre competitor. Eppure si tratta di un lavoro di spessore, stavolta più orientato sul mockumentary, con la mdp incollata ai due protagonisti del film come se fosse un terzo personaggio. Inoltre, la presunta quiete prima del massacro è sostituita da un’ansia latente che non ci abbandona fin dalle immagini iniziali dell’opera, quando Cal Gabriel e Andre Kreigman dichiarano apertamente guerra al loro istituto. Ben Coccio dirige con buon piglio un prodotto più grezzo ma non per questo meno attento ai particolari, soprattutto durante le battute conclusive del film, quando la carneficina è raccontata dalle telecamere di sorveglianza della scuola, con i morti che restano fuori campo e un sonoro straziante evidenziato dalle urla di disperazione dei superstiti in fuga. “Zero Day” è l’immersione nella follia più lucida del sogno americano, dove le armi vengono ostentate come se fossero dei gioielli di valore. Un film che non dà nessuna spiegazione, forse anche per questo motivo fa ancora più paura.

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POLYTECHNIQUE (2009) di Denis Villeneuve

Spesso il Canada viene visto (anche dagli americani stessi) come un’oasi di pace e tranquillità, dove tutto funziona al meglio e il livello di criminalità è molto basso. Eppure a Montréal nel 1989 un venticinquenne misogino di nome Marc Lépine massacrò quattordici studentesse all’École Polytechnique della città canadese, una tragedia antecedente a quelle tanto note in questi ultimi due decenni. Denis Villeneuve, prima di salire alla ribalta con i suoi acclamati “Arrival” e “Blade Runner 2049”, dirige una manciata di pellicole meno commerciali tra cui questa, girata in bianco e nero. Tecnicamente siamo dalle parti di “Elephant” (le inquadrature sono simili se non identiche), ma “Polytechnique” ha dalla sua una raffinatezza forse unica nel genere, capace di lanciare persino sottili metafore per un pubblico più colto (il caos raffigurato dalla riproduzione di un famoso quadro di Picasso, Guernica). Qui la strage giunge immediatamente, per poi essere rivissuta attraverso gli occhi del killer e di due sopravvissuti, sguardi incrociati racchiusi in un montaggio da applausi. Un breve ma gelido esempio di school shoooting movie.

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KLASS (2007) di Ilmar Raag

Che il disagio vissuto da alcuni studenti delle scuole o dei campus universitari sia un problema non solo americano questo è palese, anche se le notizie di cronaca nera ci riportano sempre (o quasi) oltreoceano. È dunque curioso il fatto che uno dei migliori titoli dedicati all’argomento provenga dalla piccola Estonia, la classica eccezione che conferma la regola. Joosep è un ragazzino timido e impacciato: i bulli della sua classe (capitanati da Anders) lo prendono costantemente di mira e nessuno tranne l’amico Kaspar sembra intenzionato a difenderlo. Il padre di Joosep è più interessato alle armi che ai problemi del figlio e questa mancanza di comunicazione tra i due diventa uno snodo cruciale del film, un’opera dura e realistica impregnata di omertà e di incapacità di aprirsi al prossimo per ascoltarlo e comprenderlo. Quando gli scherzi e le derisioni diventano sempre più pesanti da sopportare, nel protagonista scatta una molla che lo conduce verso il punto di non ritorno. Joosep così, aiutato dal fidato Kaspar, torna nella scuola armato fino ai denti per compiere la sua vendetta, in un finale shock che ribalta ogni regola e ogni gerarchia. Quella di Ilmar Raag stavolta è una vicenda immaginaria che però potrebbe materializzarsi ovunque nel mondo. Anzi, senza il potrebbe.

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Articolo a cura di Paolo Chemnitz

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