di Park Chan-Wook (Corea del Sud, 2002)
Capita spesso di imbattersi nel cinefilo occasionale, quello che di solito apprezza solo un paio di registi coreani, Kim Ki-Duk e Park Chan-Wook. Il primo per “Ferro 3” (2004) e il secondo per “Oldboy” (2003), due film da lui considerati i più grandi mai realizzati in Corea (la loro importanza è indiscutibile, meno il fatto che questa valutazione rappresenti la classica ovvietà di chi conosce esclusivamente la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più vasto e stratificato). “Oldboy” ad esempio non si può scindere dalla fondamentale trilogia della vendetta, di cui fa parte il primo tassello “Mr. Vendetta” (“Sympathy For Mr. Vengeance”) e il terzo “Lady Vendetta” (2005). Ora non siamo qui a decidere quale tra queste tre opere sia il vero capolavoro del trittico (o forse sì…), ma una cosa è certa, la trilogia in questione ha avuto un’influenza enorme non solo sul cinema coreano stesso, ma anche su quello internazionale (con Hollywood in prima fila).
“Mr. Vendetta” è meraviglioso: registicamente più legato al decennio precedente che a quello in corso (idem per il ritmo narrativo, qui piuttosto blando come in molte pellicole orientali dei 90s), questo scarno dramma dai riflessi thriller contempla più di una vendetta, una spirale di strazianti rivalse incastonate all’interno di una logorante quanto deprimente esistenza. Come quella di Ryu, il protagonista, un ragazzo sordomuto con una sorella gravemente malata che necessiterebbe di un trapianto di rene: Ryu non ha i soldi per pagare l’intervento, così decide di cedere un suo rene ai trafficanti di organi per riceverne uno in cambio da loro, compatibile con quello della sorella. Per attuare questa strategia, egli lascia il suo lavoro di saldatore per prendersi la liquidazione, ma anche quel denaro si rivela insufficiente, anzi viene ingenuamente consegnato nelle mani dei trafficanti che spariscono nel nulla. Il calvario di Ryu diventa così un incubo: senza un rene, senza soldi e con un piano scellerato per ottenere una disponibilità economica immediata.
Attraverso il sordomutismo, il regista coreano applica la metafora dell’incomunicabilità come scintilla per dar vita a un meccanismo perverso che scivola inesorabilmente verso il baratro, utilizzando un linguaggio poetico (la generosità, l’amore fraterno) ma allo stesso tempo ferale e privo di speranza. “Mr. Vendetta” trascina inoltre il revenge movie nello squallore del quotidiano, ogni ambiente in cui si svolgono le vicende è infatti spoglio, anonimo e deprimente (un capannone dismesso, un fiumiciattolo in campagna, un appartamento buio e disordinato). Park Chan-Wook lavora sui silenzi e sulle pause, prima di lasciar scattare la violenza, ruvida e improvvisa e forse per questo motivo davvero raggelante (come nella scena dei tendini recisi, un vero capolavoro di crudeltà). Ogni personaggio fallisce nelle sue intenzioni, risucchiato da questo vortice di nichilismo che non risparmia nessuno, sia le (presunte) vittime che i (presunti) carnefici. La vendetta non era mai stata così inutile. Un film eccelso.
(Paolo Chemnitz)