Triangle

triangledi Christopher Smith (UK/Australia, 2009)

È un peccato aver perso le tracce di Christopher Smith, talentuoso regista originario di Bristol che nello scorso decennio ci ha deliziato con un poker di film di tutto rispetto: ci riferiamo al discreto esordio “Creep – Il Chirurgo” (2004), alla folgorante horror comedy “Severance” (2006), all’originale e criptico “Triangle” (2009) e al cupo “Black Death” (2010). Quattro opere prima del baratro, ovvero un filmetto per famiglie nel 2014 e un parziale ritorno al cinema di genere con il mediocre “Detour” (2016).
“Triangle” è uno dei più interessanti horror inglesi degli ultimi anni: un’opera che punta esclusivamente sulla psiche della protagonista Jess, interpretata da una (monoespressiva) Melissa George qui in un ruolo chiave che non si può scindere dal suo inarrestabile turbine mentale. Quello di Christopher Smith è infatti un film incentrato sui loop temporali, sull’eterno ritorno e sulla fuga da un senso di colpa che invece di sparire si ripropone in maniera sempre più inquietante e ossessiva. Una trama circolare che riecheggia il trip proposto da Nacho Vigalondo in “Timecrimes” (2007) o le realtà parallele del più recente e ottimo “Coherence” (2013), tutte pellicole nelle quali viene rimesso in discussione ogni concetto legato allo spazio e al tempo. Ma “Triangle” è meno assurdo di quanto possa apparire, proprio perché sfiora delle corde psicologiche che si materializzano minuto dopo minuto come le tessere di un misterioso mosaico.
Jess è la mamma del piccolo Tommy, un bambino autistico. Incoraggiata dal suo amico Greg, la ragazza si unisce a lui e ai suoi amici per una spensierata gita in barca a vela. Improvvisamente, una tempesta elettrica sorprende la loro imbarcazione, rovesciandola. Il gruppo riesce comunque a salvarsi raggiungendo un’enorme nave da crociera ferma in mezzo al mare: questo gigantesco natante però non solo è vuoto e abbandonato a se stesso, ma è anche permeato da una strana atmosfera. C’è qualcuno a bordo con il volto coperto che assale i giovani, mentre nella testa di Jess cresce la sensazione di essere già stata lì, tra quei lunghi corridoi così silenziosi e sinistri.
Potremmo continuare a svelare tutto il plot di “Triangle”, tanto in questo caso nessuna parola sarebbe opportuna per descrivere la delirante rotazione degli eventi. Le scene sulla nave mettono più di un brivido addosso, a cominciare dalle immagini su quel ponte disseminato di cadaveri, una sequenza che lascia interdetti per la potenza visionaria con la quale Smith ce la sbatte in faccia. “Triangle” è una pellicola ipnotica, congegnata per far male prima alla protagonista e dopo a noi, una destabilizzazione calcolata nei minimi dettagli da cui scaturisce un loop angosciante, fin da quella disperata richiesta di aiuto via radio che segna la prima svolta concreta verso la follia. Peccato che “Triangle” abbia raccolto più consensi dalla critica che dal pubblico: non è certo un film di facile comprensione, ma forse proprio questo motivo lo rende alquanto speciale ai nostri occhi. Ci si perde e ci si ritrova in questo labirinto che cita persino “Shining” (1980), una profonda spirale nella quale si agita un nemico interiore impossibile da sconfiggere. Applausi per Smith.

4

(Paolo Chemnitz)

trianglepic

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