Pusher III

pusher IIIdi Nicolas Winding Refn (Danimarca, 2005)

Solitamente un sequel è meno brillante del suo predecessore, un assunto che viene praticamente ribaltato dalla trilogia di “Pusher” diretta da Nicolas Winding Refn. Se infatti il prototipo del 1996 lo possiamo ancora oggi considerare un diamante grezzo (dove comunque già si respira il grande talento dietro la mdp di Refn), con il secondo capitolo del 2004 si compie un importante passo in avanti: in effetti sono trascorsi otto anni dall’esordio e il regista danese ha accumulato tutta l’esperienza necessaria, nonostante il flop (immeritato) dello splendido “Bleeder” (1999) e del successivo “Fear X” (2003), quest’ultimo considerato a ragione l’anello debole della filmografia di Refn. Pochi mesi dopo arriva anche il tassello definitivo, il nostro preferito, un’opera di culto che chiude un trittico di fondamentale importanza per qualsiasi moderno crime movie di stampo non solo europeo.
“Pusher 3 – L’Angelo Della Morte” (questo il titolo italiano) è incentrato sulle vicende del boss slavo Milo (un eccelso Zlatko Burić, unico attore a comparire in tutti e tre i film della serie), uno dei più rispettati criminali di Copenhagen. La sua esistenza è giunta a un bivio cruciale: proprio durante l’incipit lo vediamo seduto a un tavolo insieme a un gruppo di incontro per ex-tossicodipendenti, dove egli stesso ammette di non toccare droga da quattro giorni. Neppure il tempo di crederci, che ritroviamo Milo intento a dover smerciare una partita composta da diecimila pasticche di ecstasy. I guai però sono dietro l’angolo, la sua posizione è messa in pericolo da una gang albanese composta da infimi personaggi che sta emergendo a suo discapito, una morsa che Nicolas Winding Refn trascina ben oltre le dinamiche da thriller, lasciando affiorare un aspetto drammatico fatto di rabbia, di solitudine e persino di umanità (Milo è anche un padre amorevole, in quegli stessi giorni è impegnato a organizzare il venticinquesimo compleanno della figlia).
“Pusher III” mescola così gli scatti nevrotici del primo capitolo all’approfondimento psicologico del secondo lungometraggio: il risultato è un noir spietato, completo e ultraviolento (la scena dello smembramento dei cadaveri rappresenta la classica ciliegina sulla torta), un film che si permette pure il lusso di premere sull’acceleratore negli ultimi venti minuti, quando il cinismo e la cattiveria esondano irreparabilmente.
Il tempo cambia le persone, le fa invecchiare. Non è facile per un gangster mantenere quello status all’interno delle gerarchie criminali della capitale danese (“don’t be so stressed, Milo. It’s not healthy for an old man like you to get so stressed”). Refn ci parla anche di questo, con un linguaggio diretto, realistico, a tratti intimo. Una perla incredibilmente sottovalutata.

4,5

(Paolo Chemnitz)

pusher 3

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