Nil By Mouth

nil bydi Gary Oldman (Gran Bretagna/Francia, 1997)

Gary Oldman è un attore inglese tra i più apprezzati a livello internazionale. Durante gli anni novanta lavora alla corte di Luc Besson sia per “Léon” (1994) che per “Il Quinto Elemento” (1997), un incontro importante poiché proprio il regista francese qui coproduce quello che resterà il suo unico film dietro la telecamera, “Nil By Mouth” (ovvero “Niente Per Bocca”). Un prodotto di taglio autobiografico, nel quale Oldman ripercorre con durezza alcuni flash del suo passato: nato e poi cresciuto nelle zone popolari della Londra sud-orientale, egli fu presto abbandonato dal padre (un saldatore dipendente dall’alcol che lasciò la famiglia quando il regista aveva solo sette anni). Questo film è dedicato proprio alla figura controversa di un uomo non così diverso da tanti altri della working class anglosassone.
Raymond (Ray Winstone) vive insieme a sua moglie Valerie (Kathy Burke) in un quartiere degradato. Accanto a loro, altri personaggi importanti per le dinamiche familiari, tra cui il cognato Billy (un drogato balordo) e la madre di lei, Janet. Il protagonista è un individuo rude, grezzo e violento, soprattutto quando si tratta di risolvere i problemi: anche per questo motivo la moglie è costretta a subire quotidianamente un ruolo da donna sottomessa e frustrata (“when you go out, you go out with your mates, and when you are in, you’re pissed out and your brain’s asleep in front of the fucking television. I turn the television off, go up to bed, you follow me up at three o’clock in the morning stinking of booze. That’s what I get”).
“Nil By Mouth” è un lavoro che aggredisce lo spettatore fin dalle prime immagini: la telecamera è incollata ai personaggi e ci sbatte in faccia lo squallore delle loro giornate senza farci respirare un attimo. Gary Oldman ci rinchiude dentro un pub, in un appartamento o nell’abitacolo di un’automobile, oscurando qualsiasi atmosfera londinese in favore di un approccio fisico, verboso e sboccato come raramente si era visto sullo schermo (la parola fuck con le sue varianti è utilizzata ben 428 volte!). Un’opera che di sicuro tramortisce in senso positivo ma che soffre anche di una certa schematicità, finendo per risultare a tratti piatta e monocorde. In alcuni casi i dialoghi si dimostrano forzatamente prolissi e al di là di una siringa o di un pestaggio (quello della moglie rimane altamente disturbante), il film non si distacca mai dal modello proposto in partenza (ciò alla lunga lo rende abbastanza ripetitivo, considerando le due ore spaccate di durata).
Un plauso agli interpreti (Kathy Burke fu premiata come miglior attrice a Cannes) e comunque al bravo Oldman, capace di offrirci una significativa quanto intensa esperienza cinematografica, nonostante gli appesantimenti di cui sopra. Oggi sarebbe interessante rivederlo dietro un macchina da presa, ma dell’annunciato “Flying Horse” poi non si è saputo più nulla.

3

(Paolo Chemnitz)

nil by m

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