di Gabriele Mainetti (Italia, 2015)
A cavallo tra il 2015 e il 2016, il cinema italiano ci ha regalato una breve ma intensa stagione cinematografica, non solo legata alle solite commedie natalizie o al filmetto melodrammatico usa e getta. Un trend che finalmente guardava al cinema di genere, inglobando alcuni elementi del passato con un approccio moderno, spigliato e capace di suscitare interesse anche al di fuori dei confini nazionali. Non serve fare un elenco, poiché le pellicole che in quel periodo hanno fatto realmente centro sono state tre: “Non Essere Cattivo” (2015) di Claudio Caligari, “Suburra” (2015) di Stefano Sollima e “Lo Chiamavano Jeeg Robot” (2015) di Gabriele Mainetti, tre lavori molto diversi tra loro eppure accomunati da uno spirito simile.
Il film dell’esordiente Mainetti nasce nel degrado della periferia romana di Tor Bella Monaca e ci racconta – attraverso la metafora del supereroe – un dramma umano di ampio respiro. Enzo (Claudio Santamaria) è un criminale in fuga, la polizia lo sta braccando in seguito a una rapina da lui commessa. L’unico modo per non farsi catturare è quello di nascondersi sotto l’acqua del Tevere, ma proprio accanto al protagonista si aprono dei bidoni contenenti delle sostanze radioattive: così, come un novello “The Toxic Avenger” (1984), egli riaffiora dal fiume scoprendo di possedere una forza sovraumana. Grazie a questi poteri, Enzo può compiere indisturbato nuove rapine, ma allo stesso tempo la presenza dell’ingenua e stralunata Alessia (Ilenia Pastorelli) gli permette di capire che quel dono si può anche utilizzare contro le persone malvagie. La misantropia dell’uomo nasconde la sua vera umanità, mentre sullo sfondo assistiamo a un crocevia di criminali: da una banda di napoletani ai veri antagonisti del protagonista, un gruppo di sbandati capeggiato da Fabio detto Lo Zingaro, uno psicopatico di periferia interpretato da un camaleontico e bravissimo Luca Marinelli.
Gabriele Mainetti mescola un pizzico di sci-fi fumettistica al cinema action, senza tralasciare una componente drammatica e persino una deriva più violenta ed esplicita (sparatorie cruente, dita mozzate e altri particolari macabri). Non bisogna affatto paragonare questo film alle pellicole della Marvel, Enzo (che per Alessia diventa Hiroshi) è un personaggio unico, originale, inserito all’interno di un contesto che ha davvero poco a che spartire con le fiammanti controparti americane. Lo stesso regista sembra guardare più a un certo cinema orientale, puntando persino sull’ironia (non a caso il personaggio dello Zingaro è un parente non troppo lontano di alcuni gangster visti in “Ichi The Killer”).
Qualcosa che non funziona? Sì, in particolare qualche lungaggine nel rapporto tra Enzo e Alessia e quelle scene nello stadio che si potevano tranquillamente evitare. Ma ciò non toglie praticamente nulla a un film di notevole fattura, capace di decostruire con fantasia e intelligenza la figura stereotipata del supereroe. Una vera alternativa al cinema nazionalpopolare per le masse, finalmente incarnata da un prodotto politicamente scorretto e figlio di un background culturale che ci appartiene da sempre. Mainetti torna presto, l’Italia ha bisogno di te.
(Paolo Chemnitz)
Un gioiello di Film, con Marinelli in forma stratosferica nei panni dello Zingaro
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