The Butcher

the butcherdi Kim Jin-Won (Corea del Sud, 2007)

Il cinema coreano che piace a noi è indissolubilmente legato a una poetica dell’estremo unica nel suo genere, capace di far convogliare in un film aspetti drammatici ed esistenziali ma anche intrecci morbosi ed esplosioni di violenza spesso insostenibili. Eppure nel 2007 Kim Jin-Won dirige un horror completamente avulso dal trend in voga nel suo paese: durata minima (settantacinque minuti) e un approccio da vero e proprio torture porn che guarda al di fuori dei propri confini, strizzando l’occhio sia alle follie dei cugini giapponesi che a un certo cinema underground americano.
“The Butcher” consiste in due schieramenti, da un lato un gruppetto di poveri malcapitati incatenati all’interno di un capannone isolato, dall’altro invece alcuni sadici assassini intenti a girare uno snuff movie. La novità, se così possiamo chiamarla, è costituita dalla tecnica del POV (grazie all’utilizzo di telecamere installate sulle vittime), in modo tale da poter assistere praticamente con i loro occhi alle varie torture subite. Ma il regista non limita il point of view solo a questa prospettiva, poiché la mdp è usata anche al contrario, non rinunciando così a una doppia visuale che alla resa dei conti risulta fondamentale: il motivo è semplice, in più di una occasione lo splatter viene solo suggerito e non mostrato, proprio perché il nostro sguardo è rivolto verso chi sferra i colpi. Il sangue sgorga a fiumi, ma solo quando Kim Jin-Won stacca sull’altra camera riusciamo a constatare i danni fisici su queste cavie umane ormai ridotte in fin di vita. Un vedo/non vedo piuttosto interessante, sottolineato da lancinanti urla di dolore che mettono i brividi addosso, mentre sullo schermo si susseguono martellate, deorbitazioni, dita tagliate con la motosega e tante altre nefandezze che non vi stiamo a elencare (gli effetti sono più che discreti).
Tolto questo simpatico intrattenimento gore, su “The Butcher” resta ben poco da dire e qua e là il torpore fagocita la nostra attenzione. Il regista punta anche sul fattore iconografico quando uno degli psicopatici indossa una testa di maiale, ma questo folklore horror buttato a caso nella mischia non ha certo ragione di esistere. Rimane inoltre ambiguo il messaggio lanciato dalla scritta che compare sulla maglietta di un altro degli aguzzini, un I Love Korea che può avere un significato politico tutto sommato facile da contestualizzare ma che non giustifica del tutto la metafora (“A Serbian Film” parte da presupposti meno didascalici per rappresentare simili dinamiche di potere).
Kim Jin-Won è sparito dalla circolazione e ancora oggi “The Butcher” resta il suo unico lungometraggio, un film molto particolare se non unico all’interno del cinema di confine coreano. L’opera è reperibile in edizione home video per la collana Palisades Tartan Asia Extreme anche se – a dieci anni di distanza dalla sua uscita – nessuno ne ha mai parlato più di tanto, soprattutto in Italia. In effetti si tratta di una pellicola tendenzialmente trascurabile, ma con il suo perché.

2,5

(Paolo Chemnitz)

The_Butcher

 

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