di James W. Roberson (Canada, 1982)
C’è una vecchia tenuta circondata da un bosco e situata accanto a un laghetto dove la notte i giovani si vanno ad appartare. Un luogo in apparenza tranquillo nel quale presto avvengono orribili decessi causati da una forza oscura. Inizialmente la polizia incolpa un ragazzo mentalmente ritardato di nome Arlen, ma quando altri tragici eventi inspiegabili continuano ad abbattersi attorno a quella casa, l’ispettore Sturgess e il reverendo Thompson scoprono che lì, trecento anni prima, una strega fu condannata a morte e poi lasciata annegare in quelle acque: una maledizione mai sopita, in quanto il suo spirito vendicativo sembra non essersi mai placato.
“La Casa Di Mary” (“Superstition” nel suo titolo originale) è un piccolo horror che ha la sua non trascurabile importanza storica: il regista James W. Roberson deve sicuramente molto a film come “Amityville Horror” (1979) e al cinema nostrano di Mario Bava e Dario Argento, ma è innegabile il fatto che molte pellicole apocrife realizzate sull’onda del successo de “La Casa” (1981) e “La Casa 2” (1987) abbiano preso più spunti da questo lavoro che da quelli diretti da Sam Raimi (una devozione lampante che emerge soprattutto nel modesto “La Casa 4” di Fabrizio Laurenti).
Il film parte a razzo: una testa che esplode dentro un forno a microonde, un ragazzo tranciato in due e infine un prete trapassato da una sega circolare impazzita, una gioia per gli amanti dello splatter che purtroppo rimane una delle poche cose da salvare del film, penalizzato da una sceneggiatura colabrodo che non appassiona neppure nei momenti di tensione (finale esagerato incluso). Ma “La Casa Di Mary” è un horror pieno di morti ammazzati e per un’opera del filone case maledette non è poco, proprio perché i soliti flebili eventi sovrannaturali qui vengono continuamente sostituti da una presenza maligna reale, costante e ossessiva. La colonna sonora è incalzante e qualche azzeccato flashback sulla condanna della strega evita al film di sprofondare nel baratro delle pellicole anni ottanta dimenticabili: anzi, con cognizione di causa bisogna riconoscere che l’opera di James W. Roberson riesce a distaccarsi con coraggio dall’ondata slasher del periodo, mostrando soluzioni meno prevedibili rispetto alle uccisioni in serie che andavano di moda agli albori di quel decennio. Con qualche soldo in più e con uno script decente a supportare il tutto “La Casa Di Mary” sarebbe potuto diventare un cult assoluto, invece resta solo un onesto b-movie tanto scriteriato quanto divertente e sanguinoso, consigliato per una serata di taglio vintage senza grandi aspettative.
(Paolo Chemnitz)