di Nick McAnulty (Canada, 2016)
“Capture Kill Release” è il ritratto 2.0 del serial killer contemporaneo, un personaggio slegato dal disagio esistenziale di tanti altri psicopatici che si sono avvicendati sullo schermo negli anni passati. Il film di Nick McAnulty (coadiuvato in cabina di regia da Brian Allan Stewart) segue le vicende di due persone apparentemente normali, una coppia borghese di fidanzati composta da Jennifer e da Farhang (con quest’ultimo completamente sottomesso a lei), giovani che trascorrono il tempo in giro o per casa riprendendo qualunque cosa con la telecamera: da qui lo stile found footage dell’opera, a dire il vero tutt’altro che fastidioso e sempre in equilibrio tra il mostrare e il suggerire.
Fin da subito capiamo che c’è qualcosa di anomalo nei protagonisti, soprattutto nella ragazza, un caratterino niente male e un modo di fare spigliato che la rende piuttosto antipatica ai nostri occhi. Neppure cinque minuti e la ritroviamo in un grande negozio di ferramenta mentre sceglie tra vari arnesi, come se dovesse comprare qualche attrezzo per uccidere qualcuno: in apparenza uno scherzo idiota, invece non lo è (“candeggina, dovremo ripulire il corpo e disinfettare tutto il resto”). “Capture Kill Release” presto si trasforma nel tutorial del perfetto serial killer (“le mani, devi togliere le impronte digitali, puoi tagliarle via con un rasoio ma puoi anche scioglierle con la fiamma ossidrica”), solo che Jennifer parla sul serio mentre per Farhang tutto questo è soltanto un gioco da condividere con la fidanzata per far passare le ore. Le differenze tra i due si fanno nette dal momento in cui la prima vittima finisce smembrata nella vasca da bagno, l’ennesimo sentore di un rapporto completamente malato tra i protagonisti, dominato da una donna mantide che lentamente fagocita il compagno costringendolo ad agire contro il suo volere.
Il regista lavora con una manciata di personaggi (in tutto ne vediamo soltanto cinque), tra cui la brava Jennifer Fraser davvero credibile nel ruolo di psicopatica. Le scene estreme non sono molte ma gli effetti sono realizzati con cura e si riesce a terminare la visione relativamente soddisfatti di un prodotto tutto sommato godibile, capace in qualche modo di aggirare i soliti spremuti stereotipi del found footage. “Capture Kill Release” si rivela così un horror più che dignitoso, che non pone limiti alla follia e alle imprecazioni (la parola fuck e derivati è usata ben 169 volte durante il film!), pur bombardandoci di dialoghi piuttosto vacui che servono esclusivamente per dare un po’ di sostanza al minutaggio. Interessante.
(Paolo Chemnitz)