di Paul Verhoeven (Olanda, 1980)
Gli spunti suggeriti dal periodo olandese di Paul Verhoeven sono molteplici. Si tratta dei primi passi cinematografici costituiti da una manciata di pellicole che serviranno come trampolino di lancio per la sua brillante carriera hollywoodiana iniziata durante gli anni ottanta (“RoboCop” e “Atto Di Forza” non hanno certo bisogno di presentazioni). Ma cosa ricordiamo degli esordi di Verhoeven? Spesso si tende a focalizzare l’attenzione su “Fiore Di Carne” (1973) con Rutger Hauer giovane protagonista, un lavoro considerato in patria come la migliore produzione orange dello scorso secolo. Ci dimentichiamo però di “Spetters”, il suo vero film scandalo, un cupo affresco giovanile ambientato nei sobborghi di Rotterdam.
Eef, Hans e Rien sono tre amici con la passione comune per il motocross e per la bella Fientje, la procace ed energica proprietaria di un chiosco ambulante di friggitoria, per la quale i tre si sfidano (“facciamo così, se la scopa chi ce l’ha più grosso”). Ma se la prima parte dell’opera riesce a mantenersi su toni leggeri quasi da commedia, il resto della pellicola offre allo spettatore un panorama davvero desolante che culmina con un epilogo amaro e per nulla consolatorio.
“Spetters” (in Italia uscì solo nel 1982, presentato da una locandina in stile biker movie metropolitano!) è un film tremendamente drammatico. Il destino dei tre protagonisti, inizialmente identico, prende strade completamente diverse: il regista olandese ci mostra la competizione sportiva come metafora della competizione sessuale tra maschi, una gara dove chi primeggia rischia improvvisamente di finire all’ultimo posto della graduatoria. Verhoeven ci sbatte in faccia la crudeltà dell’attimo fatale (l’incidente con successiva paralisi o la scena devastante dello stupro omosessuale) senza mai scadere nel buonismo, anzi l’entusiasmo di questa gioventù ancora inconsapevole presto ritorna indietro come il più infimo dei boomerang. Ce ne accorgiamo pure nei dialoghi, intrisi di disillusione e di profondo cinismo (“l’amore non può risolvere tutto e la compassione fa brutti scherzi, è forte all’inizio ma poi se ne va in fretta”).
“Spetters” è un film realistico che rispecchia pienamente le contraddizioni di un’epoca agli albori (gli anni ottanta), qui ben rappresentata sia dai personaggi che dalle atmosfere, score musicale incluso. In Olanda però la critica massacrò la pellicola: Verhoeven fu accusato di aver realizzato un lavoro anti-gay, anti-invalidi, fortemente ateo e addirittura misogino, un titolo effettivamente esplicito e scabroso ma proprio per questo motivo sincero e degno della migliore tradizione indipendente europea. Cinema del dolore duro e crudo, lo shock di una qualunque esistenza ai margini della società, come un “American Graffiti” (1973) trapassato dalla disperazione più nera.
(Paolo Chemnitz)