di Pier Paolo Pasolini (Italia/Francia, 1975)
Non serve un’ennesima recensione su “Salò”, bensì una riflessione a mente fredda diluita lungo tutto il tempo che è trascorso fin dal fatidico 1975, anno che corrisponde anche alla tragica morte di Pier Paolo Pasolini. Considerato erroneamente il testamento del regista, il film è solo la prima parte di una seconda trilogia mai realizzata, dopo quella relativa alla vita girata tra il 1971 e il 1974 (che include “Il Decameron”, “I Racconti Di Canterbury” e “I Fiori Delle Mille E Una Notte”).
Se il marchese De Sade aveva citato Dante, Pasolini li cita entrambi: “Le 120 Giornate Di Sodoma” da una parte, l’Inferno della “Divina Commedia” dall’altra, un riferimento incrociato che si rivela devastante. Manie, merda, sangue, una tormentata e magniloquente immersione nello squallore e nel disgusto, la nefandezza sadiana alimentata dalle fiamme dei tre gironi che scandiscono la sorte dei poveri malcapitati, di cui già da subito conosciamo l’infausto destino (“deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti”).
“Salò” è la più grande opera sul potere mai realizzata, la più attuale allegoria sulla mercificazione del corpo e sulla manipolazione della mente, un riflesso che non bisogna per forza ricondurre al periodo in cui si svolgono le vicende (durante la breve esistenza della Repubblica Sociale Italiana), perché quell’epoca storica funge soltanto come specchio per parlare del mondo contemporaneo, per nulla evoluto rispetto alle perverse dinamiche già vissute negli anni della guerra dal popolo italiano. Nonostante la morte del regista, il messaggio è ancora oggi chiaro e diretto: continuiamo a mangiare la merda, insaporita da qualche nuovo ingrediente che la rende meno ripugnante ai nostri occhi, ma la realtà è rimasta immutata. Il potere ci tiene al guinzaglio, ci trascina come bestie da macello fino al bordo del precipizio. Centrale è quindi la tematica sadomasochista, deformata da una lente d’ingrandimento in chiave politica che ne amplia significati e metafore.
“Salò o le 120 Giornate Di Sodoma” è il cinema estremo per eccellenza, lo zenit artistico di una (contro)cultura che oltrepassa il semplice messaggio sovversivo. Pasolini compie un miracolo ultraterreno: ci vomita in faccia la degenerazione di una società bulimica, che mortifica il singolo individuo e uccide il pensiero fagocitando vittime su vittime, la stessa società che ripudia ciò che non può ingurgitare. Ecco perché un uomo libero, un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, viene da lì a poco ammazzato in circostanze misteriose, in quella Ostia celebrata in seguito dai Coil (da sempre l’entità musicale più sensibile al poderoso simbolismo presente nel film).
Il candore (il giglio), l’innocenza, la libertà, tutto è rovesciato in nome della violenza, della negazione del pensiero, del soffocamento della propria dignità. Per questo motivo “Salò” è una pellicola che molti hanno visto e che non rivedranno mai più, poiché la verità è più disturbante di una qualsiasi menzogna servita su un piatto d’argento. Questo breve intervento si ferma qui, per approfondire sull’argomento sono stati scritti alcuni notevoli saggi ben più articolati di una piccola ma doverosa celebrazione. “Salò” non poteva mancare su questo blog, è il capolavoro che ha segnato per sempre i nostri occhi e la nostra mente.
(Paolo Chemnitz)