The Driller Killer

drillerdi Abel Ferrara (Stati Uniti, 1979)

“The Driller Killer” è il primo lungometraggio di Abel Ferrara, se escludiamo il pornografico “9 Lives Of A Wet Pussy” realizzato nel 1976. Un film fortemente influenzato sia dagli impetuosi movimenti culturali del periodo (il punk) che dalle esperienze personali del regista, il quale fin dal 1977 trascorreva le sue giornate nel loft newyorkese abitato dal pittore underground Douglas Anthony Metrov. Quello che all’inizio doveva essere un documentario sui vari disadattati che vivevano nel quartiere, presto divenne una pellicola vera e propria, realizzata con un budget talmente risicato che il lavoro vede lo stesso Abel Ferrara interpretare il protagonista (il cast è completato con un gruppo di amici e conoscenti, tra cui lo stesso Metrov).
Reno è un pittore squattrinato che condivide uno squallido appartamento con la compagna Carol e l’amica Pamela. Le sue giornate scorrono nel Lower East Side di Manhattan, tra vagabondi sempre ubriachi e la consueta violenza urbana per le strade. Assillato dai debiti, l’uomo ripone la sua unica speranza nel quadro che gli ha commissionato il gallerista omosessuale Dalton Briggs. La situazione però si aggrava quando accanto alla sua camera si trasferisce una punk band che adibisce l’abitazione a sala prove. Il rumore assordante, l’ansia del fallimento e il rapporto tormentato con Carol fanno precipitare Reno nella pazzia, preannunciata da visioni sanguinarie che affiorano sempre più frequenti nella sua mente: il pittore si trasforma così in un serial killer che di notte uccide i barboni a colpi di trapano.
“The Driller Killer” è un film lercio. Gli squarci metropolitani tanto cari a Scorsese qui rivivono in maniera ancora più sporca e malsana. La nevrosi del protagonista è solo uno dei temi principali dell’opera, una spirale psicotica che sfocia nell’isolamento sociale e nella paranoia. A questo bisogna aggiungere un rapporto controverso e irrisolto con la religione, come nelle immagini dell’incipit, un argomento basilare per il cinema a venire del regista del Bronx. Le risorse limitate purtroppo si ripercuotono sulla sceneggiatura: il plot risente infatti di alcuni momenti che fungono da puro riempitivo, ci riferiamo agli intermezzi musicali (un po’ troppi, anche se Ferrara ci avvisa fin da subito, “this film should be played loud”). Ma questa discesa nella follia è viva e la sentiamo sulla pelle, come quel colore rosso dominante che si accende sulla tavolozza di Reno o nelle scene di omicidio.
“The Driller Killer” è stato bannato in Gran Bretagna fino al 1999 (colpa di una locandina piuttosto esplicita), ma più che la violenza, a colpire lo schermo è quel marciume latente che si insinua tra le livide immagini del film (con riferimenti sparsi al cinema di Paul Morrissey o a pellicole underground come “Last House On Dead End Street”), un abisso nel quale sprofonda il nostro protagonista, fuggito dall’unica possibilità di redenzione e quindi destinato a soccombere nel peccato. Da qui ha inizio l’inferno della carne e dello spirito, la prima autentica pietra fondante della carriera di Abel Ferrara.

3,5

(Paolo Chemnitz)

drillerk

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