di David Keith (Stati Uniti/Italia, 1987)
E’ fuori discussione che “The Colour Out Of Space” sia uno dei migliori racconti di Howard Phillips Lovecraft. Un’esperienza terrorizzante tra horror e fantascienza che nel 1965 trova la sua prima trasposizione cinematografica, “La Morte Dall’Occhio Di Cristallo” di Daniel Haller (nulla di fondamentale a dire il vero). Bisogna così attendere il 1987 per vedere un altro film liberamente ispirato a questa storia: questa volta in cabina di regia c’è David Keith (un debuttante) ma dietro le quinte c’è tanta Italia. Lucio Fulci diventa Louis Fulci (!!!) e Franco Micalizzi (autore della colonna sonora) si trasforma in Frank, espedienti del navigato produttore Ovidio G. Assonitis per dare un taglio completamente americano alla pellicola. Fulci comunque, a dispetto dei credits, non è assistente alla produzione ma si occupa principalmente di effetti speciali (come supervisore) e di aiuto regia.
Nathan vive in una fattoria del Tennessee con la moglie Frances e i figli Cyrus, Zack e Alice, una famiglia allargata (i più piccoli cono figliastri) nella quale l’uomo detta le regole a suon di ceffoni e integralismo religioso. Durante una notte, un meteorite cade dal cielo proprio nel terreno attiguo alla casa, un evento catastrofico per l’ambiente circostante e per gli animali della fattoria: l’acqua del pozzo cambia sapore, l’orto produce solo frutta e verdura marcia e nella stalla impazziscono cavalli e galline. Anche Nathan non è esente dalla contaminazione, ma egli minimizza l’accaduto, nonostante i segni visibili di una trasformazione che sta colpendo pure sua moglie e il figlio maggiore Cyrus, tutti con il volto ricoperto da pustole. Ma per il padre è solo colpa di una punizione divina (“our fruit is full of worms, all my animals are dying, devoured by this terrible curse. You Frances, you’ve turn all nasty and ugly, almost overnight. I can hardly recognize you. You know why Frances? Because God is punishing all of us”).
“La Fattoria Maledetta” (“The Curse” nel titolo originale) è un b-movie in pieno stile anni ottanta, con le suggestive atmosfere dell’epoca e qualche forzatura dettata proprio dalla natura dei personaggi. La figura del padre è stereotipata in modo alquanto risibile e lo stesso si può dire della moglie, quest’ultima però interessata da una lenta e mostruosa mutazione che si rivela uno dei momenti più esaltanti del film. Soltanto Zack, il più sveglio della famiglia (che continua a prendere sberle in faccia per novanta minuti!), è capace di mantenere la giusta calma in una situazione sempre più ingovernabile. Il plot a lungo andare perde di interesse e la pellicola sembra quasi terminare in maniera approssimativa, complice anche una regia accademica e poco fantasiosa: ancora oggi però “La Fattoria Maledetta” conserva quel fascino da fantahorror d’altri tempi, un film perfetto per una serata nostalgica senza grandi aspettative.
(Paolo Chemnitz)