Soldato Blu

soldato bludi Ralph Nelson (Stati Uniti, 1970)

“Soldato Blu” (“Soldier Blue”) è entrato nella storia del cinema per due motivi essenziali. In primo luogo, è uno dei primi western revisionisti, un sottogenere nato alla fine degli anni sessanta e capace di invertire la tendenza del western classico americano, nel quale veniva esaltata l’epopea yankee in un’ottica di conquista del territorio e di sottomissione del nemico. Un mito della frontiera che qui lascia il posto alla tragica realtà dei fatti: l’uomo bianco altro non è che uno spietato aguzzino che non si ferma davanti a nulla pur di espandere il proprio dominio.
I nativi ora sono le vittime sacrificali destinate a soccombere, alla luce di una ricostruzione dei fatti più equilibrata e meno faziosa. Non a caso, il secondo motivo per il quale ricordiamo questa pellicola è legato al massacro finale, a un epilogo devastante spesso oggetto di tagli e di censure, venti minuti di atroci barbarie commesse dall’esercito statunitense nei confronti dei membri di un villaggio Cheyenne (donne e bambini inclusi).
L’opera di Ralph Nelson si apre con un’imboscata degli indiani e si conclude con la terribile rappresaglia dei militari contro di loro: in mezzo a questi eventi, assistiamo a una curiosa passeggiata nel deserto insieme ai due superstiti della mattanza iniziale. Conosciamo Kathy (una donna sboccata e cazzuta vissuta molto tempo con i Cheyenne) e il soldato Honus, un ragazzotto di sani principi piuttosto inetto e timido, entrambi diretti all’accampamento militare più vicino (dove la donna è attesa dal suo fidanzato). Anche in questo caso “Soldato Blu” ribalta i ruoli, perché in questo (ambiguo) rapporto è la donna a dettare legge, al contrario del giovane Honus che incarna un personaggio diametralmente opposto al maschio duro e impavido presente nei western canonici di taglio americano. La fase centrale dell’opera sfiora persino toni da commedia, non solo per i dialoghi e la recitazione sopra le righe di Kathy (una bravissima Candice Bergen), ma anche per la presenza di un individuo alquanto bizzarro (Isaac Q. Cumber, un Donald Pleasence sempre in grande forma qui nei panni di un mercante ebreo).
La protagonista Kathy, proprio per la sua esperienza con i nativi (era stata la moglie del capo indiano Lupo Pezzato), mostra al suo compagno di avventura tutto il suo disprezzo verso i bianchi, giustificando la violenza dei Cheyenne esclusivamente come una forma di autodifesa. Ma l’ottusità e la cattiveria del Colonnello Iverson si rivelano più grandi di una possibile tregua (Lupo Pezzato alza inutilmente bandiera bianca), così il villaggio Cheyenne viene raso al suolo come da lui ordinato. Le scene finali sono davvero raccapriccianti: osserviamo impotenti la drammatica uccisione di uomini, donne e bambini, tra stupri (con un seno asportato), selvagge decapitazioni, fucilazioni e amputazioni (la troupe sul set si servì di alcuni ragazzi orfani realmente senza arti), nel ricordo del massacro di Sand Creek avvenuto in Colorado nel 1864 (a cui è ispirato il romanzo storico “Arrow In The Sun” di Theodore V. Olsen, fonte dalla quale ha attinto “Soldato Blu”). Una dolorosa testimonianza per un film di grande spessore, non solo politico.

4,5

(Paolo Chemnitz)

soldato blu pic

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