Christiane F. – Noi I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino

christiane fdi Uli Edel (Germania Ovest, 1981)

La Berlino tossica descritta nel devastante resoconto autobiografico “Wir Kinder Vom Bahnhof Zoo” di Christiane Vera Felscherinow ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo. Prostituzione minorile, droga, musica, un insieme di aspetti che si muovono all’interno di uno scenario suggestivo, quello di una metropoli dominata dalla gelida coltre dei palazzoni periferici (le vicende prendono vita nel quartiere di Gropiusstadt) e dell’area nei pressi della Bahnhof Zoologischer Garten.
Tre anni dopo il libro è la volta del film, diretto da Uli Edel: un successo planetario, dovuto soprattutto alla partecipazione (e alla colonna sonora) di David Bowie, il quale proprio nella seconda metà dei 70s stava vivendo il suo prolifico e sperimentale periodo berlinese. “Chistiane F. – Noi I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino” presenta ovviamente una trama più snella rispetto alla lunga testimonianza scritta della protagonista, ma resta fedele ai passaggi principali della storia e al degrado di una gioventù persa nel baratro del vuoto generazionale. Lo snodo dominante di queste vicende si materializza nel Sound, celebre discoteca fulcro della movida notturna, un viavai di ragazzi sedotti dallo sballo prima che dalla musica: curiosa la circostanza che nella sala attigua a quella principale, alcuni giovani completamente fatti di acidi ed eroina stiano guardando “La Notte Dei Morti Viventi” (1968) di George A. Romero. Una bella coincidenza, triste ma concreta.
La discesa in questo mondo per l’ancora minorenne Christiane equivale a mettere un piede e mezzo nell’inferno. I problemi in famiglia, le amicizie sbagliate e la fascinazione per il classico salto nel buio la portano prima a condividere con gli altri l’uso di sostanze stupefacenti e infine a soffrire per l’immancabile crisi di astinenza (da qui il bisogno di prostituirsi per raccogliere il denaro per la droga). Tutte le scene che ruotano attorno al consumo di eroina sono un pugno nello stomaco: Uli Edel non ci risparmia questo panorama agghiacciante fatto di tossici e siringhe, spingendoci all’interno di un iperrealismo che non lascia nulla al caso. Anche se non tutti i personaggi sono trattati con la stessa profondità psicologica, “Christiane F.” si rivela un film corale (nonostante la matrice autobiografica) che denuncia la tragedia di tantissimi ragazzi senza un punto di riferimento nella vita. A rafforzare questo squallido scenario esistenziale c’è l’asettica cornice berlinese di quasi quarant’anni fa, un valore aggiunto che gli amanti e assidui frequentatori della città tedesca non potranno che apprezzare. Tra acciaio e cemento.
Alcuni soggetti sono riusciti a disintossicarsi, altri no: Christiane Felscherinow ha avuto la fortuna di poter raccontare la sua storia. Ma quello del regista è un lucido viaggio dentro un tunnel spesso senza via di uscita, un percorso di autodistruzione che sbigottisce per il modo naturale e ossessivo con il quale viene intrapreso. Un plauso infine agli attori, quasi tutti non professionisti. “Christiane F.” è un film da vedere insieme ad “Amore Tossico” (1983) di Claudio Caligari e “Overdose” (1983) di Eloy De La Iglesia, un crudo trittico europeo dell’epoca incentrato sul (sotto)mondo della droga. Qui non si scherza.

4

(Paolo Chemnitz)

chris

 

 

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