di Jim Van Bebber (Stati Uniti, 1997)
Solo pochi giorni fa Quentin Tarantino ha smentito che il suo prossimo film sarà incentrato sulla figura di Charles Manson, dichiarando che invece sarà dedicato a un’annata in particolare, quella del 1969: un periodo che comunque ci rimanda direttamente agli omicidi seriali commessi dalla Manson Family. Proprio di Charles Manson si sta parlando diffusamente da alcuni giorni, prima per le sue condizioni di salute critiche e infine per la sua morte, giunta inesorabile il 19 novembre 2017.
Il regista americano Jim Van Bebber, tutt’altro che prolifico, lo conosciamo praticamente per aver diretto il cult movie “Deadbeat At Dawn” (1988) e una serie di videoclip di alcune industrial band come gli Skinny Puppy e i Front Line Assembly (a cui si aggiunge “Revolution Is My Name” dei Pantera). “The Manson Family” ha avuto una lunga gestazione a causa degli infiniti problemi legati alla sua produzione: le riprese sono iniziate alla fine degli anni ottanta, poi la pellicola è entrata in fase di stallo riuscendo ad essere completata in due fasi (prima nel 1997 e successivamente nel 2003, grazie ai fondi della Blue Underground).
“Ogni volta che si parla degli omicidi commessi dalla setta si parla di Charlie, ma molto raramente si parla di coloro che hanno affondato coltelli o sparato pallottole”, con queste parole il produttore di una piccola emittente televisiva si appresta a ultimare uno speciale dedicato alla figura del celebre criminale, ma soprattutto ai suoi seguaci. E’ il 1996 e sono trascorsi ben venticinque anni dalla condanna penale di Charles Manson. Attraverso una serie di interviste il microfono passa in rassegna alcuni discepoli del gruppo, molti dei quali pentiti delle loro gesta: Van Bebber gira un mockumentary che salta di continuo tra il presente e il passato, le varie testimonianze infatti si alternano in maniera caotica tra l’indagine giornalistica e un excursus che risale fino alle origini di questo oscuro movimento di matrice hippie (le riprese effettuate in formato Super8 risultano di sicuro fascino). Sesso libero in mezzo alla natura, uso e abuso di droge e orge psichedeliche dal forte immaginario satanico, il regista si attiene fedelmente alla ricostruzione storica, descrivendoci il personaggio di Charles Manson come uno schizzato iperattivo che gesticola di continuo muovendosi in avanti e indietro con il corpo. Ma anche i suoi followers non sono da meno, come Sadie Atkins, Tex Watson o Bobby Beausoleil, sanguinari psicopatici infatuati dal loro carismatico leader.
Il film procede in maniera confusionaria, senza seguire un filo logico razionale, colpa sicuramente della sua lunga genesi ma anche della delirante escalation di omicidi compiuti dal gruppo: l’opera nella seconda parte diventa alquanto violenta e disturbante, un continuum di crimini consumati nel modo più becero e brutale possibile. Le pugnalate non si contano e il sangue scorre e fiumi, tra irruzioni nelle ricche ville hollywoodiane e la convinzione di una imminente guerra razziale (denominata Helter Skelter, termine preso in prestito dal celebre brano dei Beatles). “The Manson Family”, pur con il suo stile amatoriale e alienante, non è affatto un lavoro da buttare via, perché Van Bebber non si schiera in maniera inquisitoria contro questa setta di squilibrati, evitando di scadere nel patetico: Charlie resterà per sempre il simbolo del Male negli Stati Uniti, ma non sarà certo la sua morte ad estirpare il marciume sociale che ancora oggi crea mostri (dis)umani che agiscono senza controllo.
(Paolo Chemnitz)