Blade Of The Immortal

blade of the immortaldi Takashi Miike (Giappone, 2017)

“Blade Of The Immortal” (“Mugen No Jûnin”) rappresenta un traguardo importante per Takashi Miike, giunto alla sua centesima regia se includiamo anche i lavori televisivi. Se con “13 Assassini” (2010) il regista giapponese si rifaceva alla tradizione classica (Akira Kurosawa e ovviamente Eiichi Kudô, artefice del film originario nel 1963), “Blade Of The Immortal” prende ispirazione dal celebre manga di Hiroaki Samura (“L’Immortale”), senza però possederne la stessa eleganza.
L’incipit in b/n apre in bellezza questi lunghissimi centoquaranta minuti: Manji, durante un epico combattimento, evita la morte grazie all’intervento di una donna misteriosa, la quale fa penetrare all’interno del suo corpo un verme. Questo parassita vive in simbiosi con l’uomo e riesce a rigenerare qualsiasi tipo di ferita, rendendolo così immortale. Ma per Manji questa è una maledizione, anche perché egli porta con sé il dolore per la scomparsa della sorella. Solo dopo cinquant’anni per l’ex samurai giunge il momento del tanto agognato riscatto, la possibilità di porre fine alla sua immortalità eliminando mille criminali: è la giovanissima Rin a offrirgli questa missione, una vendetta trasversale poiché gli spadaccini che hanno ucciso i genitori della ragazzina sono anche nemici giurati di Manji. Ha inizio così una lunga carneficina che non è altro che un simbolico percorso di redenzione per il nostro protagonista.
Questo film di Miike è più introspettivo del previsto. Lunghi momenti di quiete spesso prendono il sopravvento rispetto alle derive action, una scelta obbligata dovuta ovviamente alla durata (spropositata) di un’opera davvero prolissa, altalenante e che a tratti annaspa dentro una verbosità fine a se stessa (senza un vero approfondimento psicologico dei personaggi). “Blade Of The Immortal” si perde proprio in questi punti morti, favorendo una ripetizione di immagini e situazioni poco inclini ad alzare il livello del ritmo narrativo. I combattimenti sono coreografati discretamente ma non riservano grosse novità, soprattutto perché alcune scene suggeriscono la violenza per poi mostrarci direttamente l’effetto di tale gesto: così quando i colpi affondano, la telecamera si sofferma sulle conseguenze (il più delle volte, un arto amputato), ma tutto funziona come un compitino svolto in maniera semplice e lineare, senza quel tocco di genio e follia a cui il regista giapponese ci aveva abituati.
L’adattamento di un manga ha bisogno di tempo e di attenzione per essere sviluppato come materia cinematografica (“As The Gods Will” ad esempio si è rivelata una magnifica trasposizione), ma se Miike sforna film come se fossero brioches c’è poco da stare allegri, anche perché gli altri gli scrivono la sceneggiatura (in questo caso Tetsuya Oishi) e lui esegue senza batter ciglio. Con bravura, sia chiaro, ma non basta la macchina da presa. Per fortuna “Blade Of The Immortal” non è come quel mezzo disastro di “Terra Formars” dello scorso anno (ancora da un manga, ancora Miike), ma di certo è un prodotto ben al di sotto dello standard qualitativo espresso dal regista (lo stesso “13 Assassini” è di gran lunga superiore). Poteva andare meglio.

2,5

(Paolo Chemnitz)

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