Alta Tensione

alta_di Alexandre Aja (Francia, 2003)

Fino a una dozzina di anni fa sembrava che Alexandre Aja dovesse spaccare il mondo. “Alta Tensione” (2003) è considerato a ragione uno dei film basilari della new wave of french horror, mentre il successivo “Le Colline Hanno Gli Occhi” (2006) è senza dubbio uno dei migliori remake realizzati durante il nuovo millennio. Un talento che però si è spento con le ultime pellicole, nonostante il positivo divertissement di “Piranha 3D” (2010). “Riflessi Di Paura” (2008) ha lasciato poche tracce, così come la virata fantasy di “Horns” (2013), mentre si è parlato pochissimo del suo ultimo thriller psicologico “The 9th Life Of Louis Drax” (2016). Non ci resta che tornare alle radici, esaminando quello che in realtà è il secondo lungometraggio del regista parigino, dopo il lontano esordio “Furia” del 1999. “Alta Tensione” (“Haute Tension”) è un sentito omaggio al cinema horror degli anni settanta, un’opera non certo originale nei contenuti ma assolutamente fedele al suo titolo: questi novanta minuti sono davvero al cardiopalmo, perché oltre all’ottima regia Aja si dimostra un vero direttore d’orchestra capace di dettare i tempi narrativi con invidiabile bravura.
tumblr_ne8ixi064E1rp0vkjo1_500Alexia (Maïwenn Le Besco) invita la sua amica Marie (Cécile De France) ad andare a studiare nella casa di campagna dove vive il resto della sua famiglia. Fin dalle prime battute si respira una profonda tensione erotica tra le due protagoniste, la quale si manifesta esplicitamente nella scena della masturbazione di Marie. Ma il terrore è dietro l’angolo, poiché uno psicopatico bussa alla porta e inizia a decimare i componenti della famiglia in un tripudio splatter sontuosamente esagerato (decapitazioni, sgozzamenti e fucilate), prima della fuga (con rapimento incluso) e un altro brutale omicidio commesso in un distributore di benzina (le avvisaglie che qualcosa di spiazzante sta per accadere). La rivelazione infatti è sconvolgente, ma è un twist che ancora oggi continua a dividere il pubblico: c’è chi lo ritiene geniale, chi invece deludente e inverosimile. Ma la forza di “Alta Tensione” va ricercata proprio nel saper confondere di continuo lo spettatore, perché tutto che quello che vediamo sullo schermo in verità non è così come sembra, uno spostamento di corpi che si materializzano in un posto diverso da quello ipotizzato (o che addirittura non esistono, frutto della dissociazione di una mente disturbata). Aja forse tira troppo la corda, ma il rischio è calcolato e sortisce il suo scopo.
Gli effetti sono di spessore (al trucco c’è Giannetto De Rossi) e il meccanismo è da puro thriller, in un continuum di citazioni che vanno da “Shining” (1980) a “Maniac” (1980), anche se la fonte di ispirazione primaria giunge direttamente dal romanzo “Intensity” (1994) di Dean Koontz, praticamente saccheggiato almeno per buona metà. Girato in poco più di un mese tra le campagne della Romania, “Alta Tensione” si può considerare il punto di partenza per la grande stagione del cinema francese più sadico e violento: un manifesto di brutalità non privo di difetti e in minima parte pretestuoso, ma a suo modo elettrizzante e coinvolgente come non capitava di vedere ormai da tempo (le tragiche sequenze dentro la casa o quelle nella stazione di servizio sono da incorniciare). Alexandre Aja confeziona così un lavoro estremo che fa battere il cuore a più riprese, anche se i detrattori continueranno a ricordarlo soltanto per la profetica canzone dei Ricchi e Poveri (“che confusione, sarà perché ti amo”). Tanta confusione che a noi piace.

4

(Paolo Chemnitz)

alta tens

 

 

 

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