Mon Garçon

mon garcondi Christian Carion (Francia, 2017)

Ancora un thriller dai risvolti torbidi proveniente dalla Francia, questa volta presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma 2017. Un soggetto ripescato da Christian Carion dopo tanti anni, proprio perché il regista sentiva il bisogno di confrontarsi con un cast più piccolo e con un film di genere, slegato da dettagli storici e da un linguaggio rivolto a un pubblico universale. Un lavoro semplice ma sicuramente efficace.
Julien (Guillaume Canet) è sempre all’estero per lavoro: quando l’ex moglie Marie (Mélanie Laurent) gli comunica che loro figlio è scomparso, l’uomo si precipita da lei in un piccolo paese delle Alpi francesi. Nonostante le indagini della polizia, Julien sembra intenzionato a seguire il proprio istinto, aggirando le istituzioni (con metodi poco ortodossi) e mettendo a repentaglio la sua stessa vita per ritrovare il ragazzino.
Christian Carion sfrutta a dovere l’ambiente cupo e innevato delle Alpi, una location che ricorda non poco quella de “I Fiumi Di Porpora” (2000) di Mathieu Kassovitz: una sensazione di spaesamento che riusciamo ad assaporare fin dalle prime immagini, la telecamera infatti si arrampica tra le strade contorte in mezzo alle montagne proprio come le vicende dell’indomito protagonista, costretto a scontrarsi con Marie e il suo nuovo compagno, oltre che con i gendarmi francesi poco propensi ad assecondare i suoi deliri irrazionali. Ma è proprio Julien l’unico individuo capace di spingersi oltre, all’interno di quei boschi che nascondono un terribile segreto (presto il trionfo della giustizia privata mette totalmente in secondo piano gli altri personaggi del film).
Guillaume Canet si dimostra (ancora una volta) il volto giusto per il thriller di marca transalpina: lo avevamo già apprezzato nel valido “La Prochaine Fois Je Viserai Le Coeur” (2014), ma lo stesso attore aveva lasciato ottime sensazioni anche in cabina di regia (“Non Dirlo A Nessuno” del 2006 è un magnifico e purtroppo misconosciuto lungometraggio dai risvolti oscuri e drammatici). Per giunta sia lui che Mélanie Laurent qui hanno recitato senza conoscere lo script, un coinvolgimento scena dopo scena che cresce insieme alla tensione che si respira nell’opera, capace di tenerci incollati allo schermo per ottantaquattro minuti (“il pubblico deve essere gettato nell’intreccio e chiedersi: cosa sta per accadere?”, questa l’idea portante di Christian Carion). Peccato che la sceneggiatura scenda a compromessi con qualche forzatura nella parte finale, risolvendo troppe situazioni con estrema facilità (il motivo stesso della sparizione del bambino resta insoluto) per poi convogliare su un epilogo eccessivamente votato al sentimentalismo. “Mon Garçon” è comunque un lavoro di tutto rispetto, snello, asciutto e girato in modo realistico e mai sopra le righe, un thriller che prende la scorciatoia per mirare dritto al sodo, senza perdersi in eccessive lungaggini. In questo caso non è affatto una scelta sbagliata, anche se il rischio da correre è quello di passare per un film un po’ superficiale.

3,5

(Paolo Chemnitz)

mon.garcon

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