di Vincenzo Natali (Canada, 1997)
“Cube – Il Cubo” è la risposta metafisica e claustrofobica a quel cinema di fantascienza spesso incentrato sui misteri dello spazio infinito e sulla scoperta di galassie lontane. In questo mondo ristretto, razionale e geometrico, i contorni sono ben definiti e l’uomo è costretto a lottare per la sopravvivenza utilizzando la propria intelligenza, capace di decifrare codici universali che vanno al di là dell’abilità individuale. Matematica e geometria, numeri e forme, coordinate cartesiane e moti periodici, un caos organizzato e immutabile, come le leggi che governano la scienza.
Il poliziotto Quentin, la dottoressa Holloway, l’architetto Worth, la studentessa di matematica Leaven e il ladro esperto in evasioni Rennes (detto Scricciolo) si ritrovano intrappolati in una stanza cubica con sei portelli che si aprono su altrettanti ambienti simili (in uno dei quali è appena morto un uomo, Alderson). Alcuni settori sono sicuri, altri invece nascondono insidie: bisogna ingegnarsi con qualsiasi sistema per superare le varie stanze disseminate di trappole mortali. Presto al gruppo si unisce anche Kazan, un ragazzo autistico trattato con sufficienza dai protagonisti poiché considerato debole e di ostacolo, eccetto dalla dottoressa Holloway che lo prende in cura con sé.
Girato in soli venti giorni con un budget modesto, “Cube” è diventato nel giro di pochi mesi un cult movie nel suo genere di riferimento (con premi prestigiosi ricevuti a Toronto e Sitges). Questo enorme esaedro rappresenta il punto di partenza, un carcere per l’individuo condannato ad affrontare le dinamiche oscure della sua esistenza con progettualità e intelletto, pena la reclusione eterna (o la morte, nel migliore dei casi). Come nel celebre Cubo di Rubik, il film di Vincenzo Natali si rivela così un vero rompicapo in cui lo spettatore è immerso esattamente alla stregua dei sei personaggi, con le stesse identiche informazioni. Un delirio psicologico che nasconde la paura dell’ignoto, perché avventurarsi nel settore successivo equivale esattamente a mettere piede su un pianeta inesplorato: da qui la deriva sci-fi metafisica, un quiz scientificamente inattaccabile che rende l’uomo un misero essere imperfetto davanti alla precisione matematica dei numeri e delle geometrie.
Il Cubo non è un’opera divina e neppure un Grande Fratello (“rassegniamoci, la ragione per cui siamo qui ci sfugge totalmente”), ma gli interrogativi trovano alcune importanti risposte nella scena conclusiva (alla domanda “cosa c’è là fuori?” segue una frase eloquente: “la sconfinata stupidità umana”). Con quel bianco accecante che spiega più di ogni cosa.
Vincenzo Natali realizza un film unico e geniale, a cui faranno seguito altri due lavori meno interessanti e piuttosto trascurabili da lui non diretti (“Cube 2: Hypercube” del 2002 e il prequel “Cube Zero” del 2004). Qui invece funziona tutto, anche il mix dei sei convincenti interpreti, complementari tra loro e incastonati a dovere come i tasselli di un puzzle tridimensionale che opprime e soffoca chiunque, nessuno escluso.
(Paolo Chemnitz)