di Damiano Damiani (Stati Uniti/Italia, 1982)
La saga di Amityville non sembra conoscere pause. Tra remake e sequel (alcuni dei quali apocrifi) siamo arrivati a quota diciotto (incluso il recente “Amityville: Il Risveglio” di Franck Khalfoun), un labirinto di titoli per giunta di qualità medio-bassa, tranne rare eccezioni. Per districarsi al meglio all’interno di questo caos, oggi focalizziamo la nostra attenzione su quello che è ritenuto dagli appassionati un film di tutto rispetto, per alcuni addirittura superiore all’originale del 1979. Se però il prototipo di Stuart Rosenberg è incentrato sulle presunte vicende accadute alla famiglia Lutz, stabilitasi nella casa coloniale di 112 Ocean Avenue (Long Island) poco dopo la strage compiuta da Ronald DeFeo, il prequel di Damiano Damiani fa un passo indietro, soffermandosi sulla genesi degli eventi paranormali che si manifestarono in quell’abitazione (prendendo più di uno spunto dal libro “Murder In Amityville” di Hans Holzer).
La famiglia Montelli si è appena trasferita in questa grande dimora: quando alcuni accadimenti inspiegabili iniziano a tormentare i protagonisti, la mamma (Dolores) contatta Padre Adamsky, un sacerdote che può fare poco davanti alla potenza devastante di questa entità. Il demonio si è impossessato della casa ma anche del figlio della coppia (Sonny consuma un incesto con la sorella), una discesa nella follia prima dello scontro finale tra le due parti.
Damiano Damiani è stato un grande regista, anche se lo abbiamo sempre amato per le sue pellicole impegnate, spunto di mille riflessioni sulla società italiana degli anni sessanta e settanta. Curiosa è quindi questa produzione voluta da Dino De Laurentiis e sceneggiata sia da Dardano Sacchetti (non accreditato, ma l’idea di base era sua) che da Tommy Lee Wallace (“Halloween III – Il Signore Della Notte”), diretta da Damiani sempre con maestria nonostante un approccio al genere horror completamente inedito. Il film è inquietante e riesce a miscelare a dovere l’argomento case infestate con quello legato al cinema demoniaco, malgrado una parte finale troppo citazionista (“L’Esorcista” ovviamente) ed esagerata, anche nell’uso degli effetti. Funziona molto di più tutta la fase preparatoria: è interessante notare come il male si manifesti immediatamente nel cuore della casa, tra le fondamenta in un putrido scantinato, a voler testimoniare la centralità dell’elemento perturbante, considerato motore e anima oscura di quell’abitazione. Positivi tutti gli interpreti, ad eccezione della madre (imbarazzante la recitazione dell’attrice lettone Rutanya Alda), così come merita un elogio anche il valido score musicale curato da Lalo Schifrin.
“Amityville Possession” (il titolo è mutuato dall’originale “Amityville II: The Possession”), pur non toccando vette importanti nel genere di riferimento, si rivela un lungometraggio con alcune buone carte da giocare, a dispetto di una seconda parte piuttosto carica ed eccessiva che sortisce quasi un effetto contrario rispetto alle intenzioni. Un film nero e blasfemo ma con gusto, merito di una regia virtuosa capace di farci chiudere un occhio davanti a qualche scelta piuttosto derivativa.
(Paolo Chemnitz)
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