di Aleksey Balabanov (Russia, 1997)
Aleksey Oktjabrinovič Balabanov si è spento nel 2013 a soli cinquantaquattro anni. Ci ha lasciati con una quindicina di titoli alle spalle, tra cui il virtuoso “Of Freaks And Men” (1998) e il devastante “Cargo 200” (2007), il suo lavoro più conosciuto in Italia. Ma il regista, almeno nei circuiti festivalieri, godeva già di una certa stima fin dai tempi di “Brother”, opera che ottenne numerosi riconoscimenti in giro per il mondo. Si tratta di un crime movie dalle forti componenti noir (di cui esiste un sequel realizzato nel 2000 dallo stesso Balabanov), un film incentrato su una serie di personaggi profondamente caratterizzati e ambientato durante un periodo storico di grande incertezza per la Russia, uscita dal comunismo da pochi anni e impegnata sul fronte ceceno in una guerra combattuta a più riprese.
Danila Bagrov lascia la carriera militare per tornare in provincia dalla madre ormai anziana: il giovane, in partenza spaesato sul da farsi, decide di raggiungere il fratello Viktor a San Pietroburgo per intraprendere una nuova vita. Danila (che chiama la città ancora con il vecchio nome di Leningrado) presto si ritrova al centro di una situazione molto delicata, perché Viktor non è un uomo d’affari (come creduto dalla madre) ma è un boss mafioso in costante pericolo di vita.
Un plot semplice per un film veramente tetro e intenso, girato da Balabanov in una location asciutta, spoglia e plumbea, nella quale gli esseri umani sono soltanto pedine di un destino irreversibile. Infatti, oltre al bravissimo protagonista (con un suo codice d’onore personale e una particolare sensibilità verso la musica e i disadattati), a bucare lo schermo sono anche i personaggi secondari, incastonati in ruoli ben definiti (la tossica, il venditore ambulante, la donna che guida il tram) che suggellano a dovere un panorama desolante, fatto di sballo, vodka e un sesso consolatorio per riempire il vuoto esistenziale. “Brother” non si sofferma soltanto sull’aspetto drammatico, perché sviluppa anche la sua (sobria) facciata da gangster movie, puntando il dito soprattutto sulle tensioni etniche spesso causa di ostilità in Russia: il ceceno, il tataro, in questa pellicola i nemici sono chiamati così, perché l’avversario prima di tutto è legato a un popolo, non è soltanto un individuo. Anche se il rapporto tra Danila e Viktor non scava a fondo come dovrebbe, tutte le dinamiche connesse a questa fratellanza riescono a incanalare il film nel cuore della faida tra queste gang, fino all’inevitabile epilogo (la violenza viene lasciata fuori campo, ma è mostrata con una freddezza disarmante).
“La città ha una forza spaventosa. E più grande è la città, più è forte. Ti risucchia. Solo i forti ce la fanno”. Aleksey Balabanov pone la metropoli come unico luogo di prospettiva per un giovane, una meta seducente con i suoi pericoli, i suoi giri malavitosi e le sue regole. “Brother” è un film importante anche perché rappresenta lo specchio di una società in grande scompiglio, la prova inconfutabile delle qualità (non solo registiche) di un personaggio purtroppo scomparso prematuramente.
(Paolo Chemnitz)