di Sion Sono (Giappone, 2008)
“Love Exposure” è la Bibbia di Sion Sono, un film originariamente di sei ore ma poi ridotto a quattro. Non importa il risultato commerciale o la possibilità di distribuirlo in giro, il regista qui infatti è interessato esclusivamente a condensare il suo pensiero e la sua estetica cinematografica, come se “Love Exposure” fosse un manuale di istruzioni per affrontare e decifrare al meglio tutte le sue opere (precedenti e successive).
La trama è ingarbugliata ma solo in apparenza, poiché i personaggi principali si contano sulle dita di una mano: su di essi vengono costruiti vari segmenti che approfondiscono le loro storie personali, a cominciare da quella di Yû, un ragazzino cresciuto in una famiglia cattolica. Sua mamma muore lasciandogli una statuina votiva della Madonna, il giovane in cambio le promette di trovare una compagna che un giorno possa incarnare la stessa purezza di quella figura religiosa. Il padre di Yû nel frattempo diventa prete, attirando le attenzioni di molti fedeli, tra cui una signora piuttosto stravagante e da lui ossessionata. Tra i due nasce un rapporto proibito, ma nella testa dell’uomo accade qualcosa che incrina il legame con il figlio, da quel momento costretto (suo malgrado) a commettere dei peccati per compiacere i tormenti d’animo del genitore. Yû inizia a frequentare una gang di svitati, coltivando l’hobby del tosatsu (fotografare le mutandine delle ragazze per strada) fino a utilizzare un travestimento per conquistare le attenzioni di una sua coetanea, Yôko. La giovane è disillusa, detesta gli uomini (che picchia senza motivo) tranne il suo idolo Kurt Cobain. La madre di lei (che scopriamo essere la compagna del padre di Yû) la spinge all’amore verso Cristo, un parallelo che pone sullo stesso piano integralismo religioso e idolatria musicale. Questa praticamente è solo la base sulla quale si sviluppano tutte le vicende, che vedono protagonista anche Koike (un’altra ragazza dal passato difficile), un sadico jolly che il regista si gioca con destrezza con il trascorrere dei minuti.
Sion Sono ci sbatte in faccia tre tematiche a lui molto care, quella legata alla famiglia (disfunzionale), quella legata alla perdita della propria identità (pensiamo anche a un film come “Noriko’s Dinner Table”) e infine quella più prorompente, che pone la religione (che nell’opera si esprime anche attraverso un controverso movimento settario) come oggetto di critica, la negazione dell’individuo in favore di una fede universale volta alla ricerca del bene assoluto. Ma sono proprio le parole del padre di Yû a chiuderci la porta in faccia (“non c’è via di fuga dall’essere cattivi”), perché il pensiero buonista generico è un atteggiamento ipocrita e utopistico.
Un altro aspetto importante del film è quello connesso alla sessualità, da un lato vissuta con toni drammatici (l’incesto riporta alla mente l’esperienza di “Strange Circus”), dall’altro con un approccio grottesco e per certi versi demenziale (le erezioni improvvise). Ma in entrambi i casi il regista risale a monte, perché i comportamenti dei figli sono il risultato delle costrizioni e dell’educazione impartita dai loro genitori, un passaggio obbligato e spesso deviato che accresce l’ansia, la paura dell’altro sesso, le perversioni stesse. Yû e Yôko (così come Koike) sono vittime della famiglia, della società, della loro medesima esistenza. Allora l’unica salvezza è il talento, l’espediente (il travestimento, nel nostro caso) e il sovvertimento dell’ordine imposto.
La potenza di “Love Exposure” è tutta qui, ma esplode anche attraverso ulteriori dinamiche: le interpretazioni sono ottime, la regia è fluida e non lascia mai addormentare il film, il montaggio è strepitoso e infine la varietà della colonna sonora (da Ravel alla musica pop) permette un continuo cambio di registro che si dimostra vincente come non mai. Senza dimenticare lo splatter, un contorno che ben si integra con gli eventi succitati. Ecco perché queste quattro ore non pesano per nulla e sembrano durare la metà.
“Love Exposure” è un’opera monumentale che ridisegna il cinema giapponese del nuovo millennio, un movimento meno interessato alle sperimentazioni dei vecchi Maestri ma molto più propenso a mostrarci la follia irrefrenabile di una società alienata, manipolata e spesso malata in maniera terminale, come gli individui che la popolano. Sion Sono è un genio fuoriuscito da questo caos.
(Paolo Chemnitz)