di Flying Lotus (Stati Uniti, 2017)
The Big One è il nome che è stato affibbiato a un ipotetico devastante terremoto che potrebbe colpire la California entro i prossimi trent’anni. Gli studiosi parlano di catastrofe (decimo grado della scala Richter), i registi invece si spingono oltre: quello che vediamo in “Kuso” racconta la vita di alcuni sopravvissuti dopo la distruzione di Los Angeles, ma più che da un terremoto la città sembra essere stata colpita da una bomba nucleare di immani proporzioni.
Flying Lotus è un musicista piuttosto influente nella scena elettronica (di matrice glitch/jazz) che da tempo ha abbracciato un immaginario weird e disturbante (cercatevi su YouTube il video di “Ready Err Not”, tanta roba). “Kuso” è il risultato ultimo di questa ricerca, una sperimentazione psichedelica, allucinogena, rivoltante ma soprattutto stucchevole. Il film mostra una serie di cortometraggi, ognuno dei quali legato a questa acida distopia post-apocalittica, parentesi intervallate da alcune confuse trasmissioni televisive (un mix tra le follie in stile “TerrorVision” e immondizia pop) senza un vero filo logico a supportarne le intenzioni.
Il gusto del macabro e del deforme trova i suoi momenti migliori in particolari sequenze di animazione curiose e ben riuscite, ma tutto il resto dell’opera mette talmente tanta carne al fuoco che al termine della visione si esce storditi da un festival dell’estremo fine a se stesso, nonostante l’ironia di fondo. I personaggi che si avvicendano sono grotteschi e mostruosi: in apertura, troviamo una ragazza in vena di effusioni con il suo partner, tra pustole, sperma e uno strangolamento per non farci mancare nulla, ma la pellicola ci sbatte in faccia molto di più. Parliamo di creature orripilanti, di mutazioni genetiche (la pianta nel bosco si ciba attraverso una sorta di fessura anale), di insetti, di vomito, di schermi pelosi e di un freakshow continuo dai contorni surreali e insistenti.
Se alcuni giornalisti durante lo scorso Sundance sono scappati via dalla sala, non è certo difficile intuirne il motivo. Molte volte i prodotti fischiati ai festival si rivelano delle magnifiche sorprese (lo abbiamo visto pochi giorni fa con l’incredibile “Mother!”), però “Kuso” sotto diversi punti di vista si rivela un lavoro indifendibile. Flying Lotus non è un regista navigato e lo notiamo fin da subito, poiché il film è girato male e il montaggio è ancora peggio: tutto questo piccolo esercito di musicisti e collaboratori (tra i tanti, c’è George Clinton ex Funkadelic) funziona alla perfezione nella dimensione YouTube, dove videoclip e sperimentazioni di questo tipo raccolgono milioni e milioni di consensi e visualizzazioni. Ma tale struttura regge sulla breve distanza, non su novanta minuti.
Con il kitsch al potere, non basta dunque una valida colonna sonora e qualche intrigante intuizione visiva a risollevare dalla mediocrità generale questo circo ambulante del pessimo gusto. Talmente estremo ed esagerato che in fin dei conti non lo sembra quasi per nulla.
(Paolo Chemnitz)