Forced Entry

fordi Shaun Costello (Stati Uniti, 1973)

Il disturbo post-traumatico da stress iniziò a manifestarsi con proporzioni preoccupanti tra i reduci del Vietnam. Una sindrome che comportava incubi, insonnia, ansia, aggressività, confusione e persino il vivido ricordo attraverso dei veri e propri flashback mentali sulle atrocità di guerra vissute in prima persona. Il cinema americano si è spesso interrogato sull’argomento, sia affrontandolo sul campo (“Il Cacciatore”, “Apocalypse Now”, “Platoon”), sia prendendo spunto dal tema per ampliarne i significati: tra i film che in tal senso hanno lasciato il segno, ricordiamo “La Morte Dietro La Porta” (1974), “Taxi Driver” (1976) e “Combat Shock” (1984).
“Forced Entry”, pur essendo un porno, è un lavoro molto importante: è il 1973 e il malessere che trasuda una pellicola del genere ha pochi eguali nell’immaginario legato al Vietnam. Il protagonista è un uomo che una volta adescate delle vittime nella pompa di benzina dove lavora, le segue fino a penetrare nei loro appartamenti, per poi violentarle e ammazzarle. Un disagio psichico che esplode in tutta la sua potenza, poiché quest’individuo è ancora convinto di avere a che fare con il nemico.
Al di là di un approfondimento psicologico approssimativo e di un plot ripetitivo e per nulla sviluppato, l’opera di Shaun Costello si rivela un modello cinematografico disturbante che non lascia indifferenti: gli amplessi non sono mai volti al piacere personale (eccetto il primo) ma alla distruzione della vittima. Uno stupro sacrificale credibile, realistico e deplorevole. In “Forced Entry” il sesso è talmente irruento, putrido e disgustoso, che lo sperma finisce addirittura sulla telecamera (anticipando di gran lunga gli schizzi d’autore visti in “Love” di Gaspar Noé). Lo stesso Costello interpreta il personaggio di David, mentre il reduce di guerra è impersonato da Harry Reems (il quale, successivamente, nella sua autobiografia ripudiò la pellicola). Tra le povere malcapitate c’è anche Laura Cannon, la prima pornostar che riuscì a far breccia tra le pagine di Playboy.
Colpisce l’utilizzo straniante della musica, ma ancora di più un montaggio studiato ad hoc, capace di entrare dritto nella testa del protagonista con le dure immagini di repertorio (in b/n) sul Vietnam. Curioso e simbolico poi il fatto che durante le scene di eiaculazione, siano mostrati aerei in picchiata o missili appena scagliati contro il nemico. Un regista come Buddy Giovinazzo sembra aver attinto non poco da “Forced Entry” per il suo “Combat Shock”, almeno a livello formale (i flashback, lo stile sciatto e volutamente squallido, senza dimenticare quel finale catartico e autodistruttivo), impostando però la sua pellicola sul dramma familiare e ammantandolo con un marciume urbano qui soltanto suggerito (un aspetto che Shaun Costello svilupperà maggiormente nel successivo “Water Power”, vicino per atmosfere a “Taxi Driver”).
“Forced Entry” è una commistione tra pornografia e horror che merita un dovuto approfondimento al di là della valutazione complessiva e dei gusti personali. Si tratta di un prodotto malsano e sgradevole (il quale provoca repulsione solo alla vista del protagonista), un film che sostituisce la follia e il disprezzo alla patina rassicurante di quel cinema porno contemporaneo che ha come fine unico quello di eccitare lo spettatore. Qui avviene esattamente il contrario.

4

(Paolo Chemnitz)

forced entry

 

 

 

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