Querelle

querelledi Rainer Werner Fassbinder (Germania Ovest/Francia, 1982)

“Querelle” è un’opera che ha fatto tanto discutere. Quando nel giugno del 1982 Rainer Werner Fassbinder muore per un’overdose a soli trentasette anni, la possibilità di celebrare la scomparsa del regista è imminente, ma la giuria del Festival di Venezia lo snobba premiando “Lo Stato Delle Cose” di Wim Wenders. Solo il presidente dei giurati, Marcel Carné, prova a difendere strenuamente questa pellicola postuma: “continuo a credere che l’ultima opera di Fassbinder, che lo si voglia o no, che la si deplori o no, avrà un giorno il suo posto nella storia del cinema”.
In realtà il destino di “Querelle” è stato beffardo, alla sua uscita in Italia la censura tagliò una celebre scena di sodomizzazione e quel posto tanto agognato nella storia della settima arte è stato sì raggiunto, ma solo all’interno della cinematografia LGBT. Eppure il linguaggio di Fassbinder è universale e bisogna interpretarlo al di là dell’aspetto legato alle preferenze sessuali: il suo è un cinema della sopraffazione del prossimo, del (sado)masochismo, della negazione del sentimento (“forse l’amore è un covo di assassini”), un insieme di prerogative morbose che possono essere lette in una prospettiva di ampio respiro. Anche se per molti non è così, purtroppo.
Ispirato all’omonimo romanzo di Jean Genet, “Querelle” racconta l’approdo di un gruppo di marinai nel porto francese di Brest, dove ad attendere il protagonista Querelle c’è il fratello Robert. La storia si svolge nei bassifondi della città, in un bordello (La Feria) gestito da Nono e dalla moglie Lysianne (amante di Robert). Il regista gira in un teatro di posa (gli studi CCC-Atelier di Berlino), creando una serie di ambienti collegati tra loro e ammantando le atmosfere con un color arancio crepuscolare, un cromatismo che non ci abbandona mai per tutta la durata dell’opera.
Fassbinder lega la figura del marinaio a quella del sesso promiscuo e dell’omicidio, una triade che si muove in un contesto esclusivamente fallocentrico (qui inteso non come dominazione dell’uomo sulla donna, ma di dominazione di uomini su altri uomini). Una forza che si misura dalla potenza sessuale ma anche dalle scenografie che lasciano pochi dubbi al riguardo (enormi cazzi totem eretti come bastioni sulle mura del porto).
Quella di “Querelle” è una tragedia esistenziale che colpisce tutti i personaggi, dal Capitano Seblon (un Franco Nero leggermente avulso dal contesto) allo stesso protagonista, alla continua ricerca della propria identità. Lo stile antirealistico e manierista non aiuta lo spettatore impreparato al cinema fassbinderiano, ma l’opera del regista si misura proprio dal suo linguaggio estetico che negli anni non ha mai rinnegato la coerenza e la continuità di intenti, proponendo un modello che si inserisce a pieno titolo nel concetto di potere legato alla passione (più sviluppato è il sentimento nella vittima, più il partner diventa sadico carnefice). Proprio per questo motivo il film non è da considerare affatto un testamento prima della dipartita (per giunta improvvisa), ma lo si può contemplare come un passo aggiuntivo di un’evoluzione purtroppo terminata qui, forse sul più bello. Un’opera potente e controversa: each man kills the thing he loves!

4,5

(Paolo Chemnitz)

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