di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi (Italia, 1966)
Non c’è cosa più scioccante e brutale della realtà. Tutte le opere di finzione possono esasperare qualsiasi contenuto fino a straripare oltre il consentito, ma non sortiscono lo stesso effetto di un filmato vero, realmente accaduto. I controversi mondo movie di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi hanno lasciato il segno, “Africa Addio” in particolare: pur marchiato dall’infamia della manipolazione di alcune scene ricostruite (inclusa l’accusa di un’esecuzione pilotata che causò una denuncia in seguito decaduta), questo documentario shock surclassa per violenza e crudeltà le immagini viste nel celebre “Mondo Cane” (1962), ponendosi come pietra miliare estrema del genere.
La voce narrante dell’incipit mette subito le cose in chiaro: “L’Africa dei grandi esploratori, l’immenso territorio di caccia e di avventura che intere generazioni di giovani amarono senza conoscere, è scomparso per sempre. A quell’Africa secolare, travolta e distrutta con la tremenda velocità del progresso, abbiamo detto addio. Le devastazioni, gli scempi e i massacri ai quali abbiamo assistito, appartengono a un’Africa nuova, a quell’Africa che seppur riemersa dalle proprie rovine più moderna, più razionale, più funzionale e più consapevole, è irriconoscibile. D’altronde il mondo corre verso tempi migliori. La nuova America sorge sopra le tombe di pochi bianchi, di tutti i pellirossa e sulle ossa di milioni di bisonti. La nuova Africa risorgerà lottizzata sulle tombe di qualche bianco, di milioni di negri e su quegli immensi cimiteri che una volta furono le sue riserve di caccia. L’impresa è così moderna e attuale che non è il caso di discuterla sul piano morale. Questo film vuole soltanto dare un addio alla vecchia Africa che muore e affidare alla storia il documento della sua agonia.”
Il preambolo, polemico nei confronti dell’occidente irresponsabile e complice dei mali del continente nero (ma anche verso i nuovi stati indipendenti incapaci di gestire l’ordine pubblico e le risorse), lascia emergere un’onestà intellettuale di fondo che però tende a disperdersi più volte durante la visione del film. “Africa Addio” è apertamente schierato a favore del colonialismo, così come subdolamente lascia filtrare un razzismo di fondo che non è mai stato perdonato agli autori. Ma se sgombriamo il campo da qualunque pregiudizio, ciò che stona in questo shockumentary passa in secondo piano e nei nostri occhi resta solo un documento di rara potenza, nel quale le immagini di un luogo ancora incontaminato si sposano alla perfezione con le musiche di Riz Ortolani e con una regia tecnicamente ineccepibile (il montaggio è superbo, così come la fotografia di Antonio Climati).
Sono molte le situazioni che si avvicendano durante le due ore e venti di visione: l’inizio (finto rassicurante) con le feste per l’indipendenza del Kenya presto lascia spazio ai processi nei confronti dei Mau Mau, responsabili dell’uccisione di alcuni coloni inglesi. La tragedia giunge inesorabile con le immagini atroci dei capi di bestiame abbattuti (ai bovini degli agricoltori venivano recisi i tendini) e con le scene riguardanti i cacciatori di frodo impegnati nella strage di elefanti, ippopotami e zebre, sequenze raccapriccianti ma reali che squarciano in due lo schermo provocando un senso di repulsione assoluta per il modo in cui è mostrata la sofferenza di questi animali (trafitti con le lance e poi smembrati senza pietà). L’unica belva feroce dell’Africa è l’uomo, senza dubbio alcuno.
La passerella sconcertante procede saltando dal genocidio di Zanzibar (fucilazioni, amputazioni, masse di cadaveri ovunque) all’apartheid in Sud Africa, fino agli episodi di cannibalismo in Congo e agli eccidi compiuti nelle missioni cristiane con stupri e massacri nel nome di una malsana legge non scritta insita nel genere umano. Anche se Jacopetti e Prosperi si prendono gioco dei negri (eloquente il commento sulle scene dei cavalli liberati nella savana: “il cavallo è l’animale dei bianchi per eccellenza. Esso odia il negro e rifugge dal farsi cavalcare da questi”), la riflessione che emerge a fine visione è molto più ampia di un becero dualismo tra razze. Il motore di questo documentario è la storia dolorosa di un continente sfruttato e abbandonato a se stesso, nonostante il colonialismo non sia mai realmente terminato, prima con l’insediamento di stati fantoccio filo-occidentali e in tempi recenti con l’invasione cinese che sta conquistando il continente nero senza che se ne parli più di tanto. Una lezione disturbante di geopolitica con riflessi socio-antropologici, molto attuale se pensiamo alle conseguenze devastanti che negli ultimi decenni hanno toccato i più svariati argomenti: la corruzione, i colpi di stato, l’orrore di nuovi massacri (pensiamo al Ruanda), le malattie (l’avvento dell’AIDS) e non ultime, le tragedie nel mare dovute ai flussi migratori verso l’Europa.
“Africa Addio” per certi versi è disonesto, fastidioso e ripugnante, ma offre una visione che mette a tacere centinaia di filmetti che si autoproclamano estremi. Un vero pugno nello stomaco, che non offre vie di fuga, ma solo caos e disperazione.
(Paolo Chemnitz)