Train To Busan

train to busandi Yeon Sang-Ho (Corea del Sud, 2016)

Recentemente il treno è diventato uno dei protagonisti assoluti nei blockbuster coreani. Lo abbiamo visto nella distopica coproduzione internazionale “Snowpiercer” (2013) di Bong Joon-Ho, ma ritroviamo questo mezzo di locomozione in un horror che ha letteralmente spopolato in Asia orientale. “Train To Busan” è il sequel di “Seoul Station” (2016), film di animazione diretto dallo stesso Yeon Sang-Ho e fatto uscire praticamente in contemporanea all’opera in esame, la quale si sviluppa esattamente il giorno dopo le tragiche vicende urbane accadute nel prequel.
L’incipit è promettente, ci troviamo in una zona rurale dove un animale viene accidentalmente investito da un furgone: la bestia però prontamente si rialza dalla pozza di sangue nella quale giaceva, c’è un virus che si sta diffondendo e gli esseri umani sono anch’essi coinvolti dal contagio.
Ci trasferiamo nella stazione di Seul. Un padre (Seok-Woo, un manager rampante) e la sua figlioletta sono entrambi diretti dalla capitale coreana a Busan, un viaggio di oltre trecento chilometri per portare la bambina dalla mamma. Prima della partenza assistiamo a una serie di personaggi che si avvicendano vorticosamente, dal capotreno alla hostess, fino alla squadra di baseball diretta nell’altra città, mentre su una delle carrozze sale anche una ragazza moribonda: è proprio lei la causa scatenante dell’infezione sul convoglio (i viaggiatori, non appena vengono morsi, si trasformano a loro volta in bestie furiose e assetate di sangue). Ovviamente più che agli zombi classici qui siamo davanti agli infetti rabbiosi tanto sfruttati nel nuovo millennio, incazzati neri quanto vi pare ma meno inquietanti e significativi del morto vivente canonico di matrice romeriana. Fortunatamente queste creature sono ben realizzate (non quelle masse insulse viste in “World War Z”) e nei momenti più concitati fanno il loro sporco dovere, creando scompiglio su un treno che con il trascorrere dei minuti diventa un vero e proprio campo di battaglia. La location circoscritta da un lato è un pregio (il senso di claustrofobia è costante), ma si rivela anche un limite quando alcune situazioni tendono a ripetersi in maniera matematica. Inoltre osare un po’ di più con il sangue sarebbe stata cosa buona e giusta, ma davanti a un action-horror del genere il regista ha pensato bene di favorire la concitazione degli eventi, l’inesorabile avanzata degli assalitori e il senso di terrore e smarrimento tra i superstiti, preservando un lato sentimentale (per fortuna non troppo accentuato) con protagonista la piccola figlia di Seok-Woo.
Le due ore di visione funzionano e coinvolgono ma senza grandi sussulti: come in tutte le pellicole destinate (anche) al grande pubblico, il film vive soprattutto di azione e di un ritmo narrativo molto elevato, lasciando in secondo piano l’approfondimento dei personaggi che qui rappresentano il consueto stereotipo da multisala. Un consiglio: recuperatevi prima il prequel (per giunta privo di qualunque buonismo di fondo e molto più cupo rispetto a “Train To Busan”), poi in caso tuffatevi in questo lungo e comunque interessante viaggio sui binari. Senza dimenticare la birra e le patatine.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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