di Jean LaFleur (Canada, 1977)
“Ilsa, La Tigre Del Sesso” (il titolo originale è “Ilsa, The Tigress Of Siberia”) è il terzo e ultimo capitolo della trilogia con protagonista la sadica tettona Dyanne Thorne, senza contare un altro film apocrifo diretto da Jess Franco (“Greta, La Donna Bestia” del 1977) sempre con lei interprete principale. Questa volta in cabina di regia troviamo Jean LaFleur al posto di Don Edmonds, il quale si era occupato delle prime due pellicole.
Notiamo subito che per par condicio le tre opere spaziano in modo equivalente tra nazismo (“Ilsa, La Belva Delle SS”), capitalismo (“Ilsa, La Belva Del Deserto”) e comunismo (il film in esame). La protagonista infatti, dopo le avventure nel lager e poi alla corte di un ricco sceicco, la ritroviamo tra le nevi siberiane a capo di un gulag dove vengono deportati e costretti ai lavori forzati tutti gli avversari politici di Stalin (le vicende si svolgono nel 1953).
La prima parte del film ricalca quanto già visto in passato: nulla di trascendentale, ma non manca lo splatter (reso discretamente dagli effetti) e una serie di torture inflitte ai malcapitati, tra cui spicca il dissidente Yakurin, un tipo che non si piega facilmente al volere dei suoi carnefici. In un panorama desolante a livello di dialoghi e sceneggiatura, i momenti trash non si fanno attendere, perché in questo gulag gli uomini sono decisamente allupati (e alcolizzati) con tanto di donzelle utili per alleviare i loro pruriti sessuali. Ma il personaggio di Ilsa oscura chiunque, la sua presenza e i suoi pettorali (chiamiamoli così) rendono molto di più del film stesso, anche nelle scene ad alto contenuto erotico (per cominciare, una doppia penetrazione e tanta allegria).
A un certo punto Stalin muore, il campo chiude e i prigionieri scappano. Siamo al giro di boa e “Ilsa, La Tigre Del Sesso” cambia completamente rotta: finiamo a Montréal nel 1977, dove Yakurin allena una squadra di pugilato sovietica mentre Ilsa è proprietaria di un bordello. Ci chiediamo subito come cazzo sia finita lì, ma ancora di più come sia possibile una tale coincidenza, visto che i due si incontrano casualmente in modo tale da poter chiudere i conti in sospeso (carràmba, che sorpresa! …con la donna che per giunta se lo vuole trombare). Tutto ciò in un mare di noia, a parte il finale bastardo ma giusto.
Jean LaFleur ha il merito di variare il menu rispetto ai primi due film della saga, ma riusciamo a divertirci (relativamente) soltanto nel primo segmento di questi novanta minuti, purtroppo penalizzati dai superflui eventi canadesi che riprendono in mano le sorti dei protagonisti. Sexploitation trascurabile.
(Paolo Chemnitz)