di Mladen Djordjevic (Serbia, 2009)
La primissima inquadratura non lascia scampo: Marko, un regista con tanti sogni nel cassetto ma nessuna possibilità di realizzarli, parla alla telecamera e si presenta. Dietro di lui possiamo scorgere due poster, sicuramente dei suoi film preferiti, il primo è “Pink Flamingos” (1972) di John Waters, il secondo è “The Rocky Horror Picture Show” (1975) di Jim Sharman. Due opere molto diverse tra loro ma accomunate da una forte ironia e da una serie di personaggi ambigui e bislacchi, una base importante su cui poggia “The Life And Death Of A Porno Gang”, un prodotto serbo troppe volte accostato al suo fratello maggiore “A Serbian Film” (2010) ma costruito con un approccio differente e per giunta girato alcuni mesi prima.
Mladen Djordjevic, già messosi in luce con il documentario sull’industria del porno “Made In Serbia” (2005), torna su queste tematiche mantenendo inalterata una regia che qui trasforma la pellicola in un mockumentary vero e proprio. Il protagonista Marko non ha sbocchi, nello stato balcanico si possono fare soldi con le commedie o con il cinema pornografico, non di certo con l’horror. La scelta ricade sulla seconda opzione, anche perché il giovane incontra casualmente Cane, un regista da tempo attivo nel mondo dell’hardcore e subito intenzionato a dare un’opportunità al ragazzo.
Fin dalle prime battute “Život I Smrt Porno Bande” (questo il titolo originale) è permeato da uno spirito grottesco, come nella scena del contadino che semina con il suo sperma (dopo un amplesso con l’uccello infilato nella terra!). Il metacinema di Djordjevic incontra la storia, perché il lungometraggio è ambientato a cavallo tra i due millenni, quando il nazionalista Slobodan Milošević era ancora in auge e la federazione jugoslava (Serbia e Montenegro) stava fronteggiando la crisi in Kosovo. Sono molti gli spunti che ci offre la pellicola, anche troppi se vogliamo, ma in questo minestrone trova spazio un filo logico che ci permette di non perdere mai la bussola.
Le vicende iniziano a prendere una piega avvincente dal momento in cui Marko è costretto a lasciare la città con un gruppo di attori porno e disagiati vari: l’idea di un teatro hard sperimentale itinerante è geniale, è il motore che ci guida nel cuore del film, quando i nostri riescono anche a farci sorridere con le loro rappresentazioni così strambe e pittoresche. Ma l’orrore è dietro l’angolo, poiché quello che in principio sembra un gioco sgangherato si trasforma in un sadico snuff movie, dove le uccisioni (realizzate con accurato realismo) riescono a rendere disturbante una pellicola fino a quel momento eccessiva per tanti altri motivi (sesso esplicito, vomito, pissing e ulteriori schifezze assortite).
Mladen Djordjevic si tiene alla larga dal cattivo gusto gratuito, il porno-cabaret è bizzarro e colorato e alcune immagini sembrano riportarci dritti all’anarchia del celebre “Sweet Movie” (1974) del conterraneo Dušan Makavejev, mescolata con quell’attitudine folkloristica tipica di Emir Kusturica. La differenza netta tra “The Life And Death Of A Porno Gang” e “A Serbian Film” va ricercata proprio qui, perché il lavoro di Srdjan Spasojevic non prevede alcun momento semiserio, è un cinema (metaforico) incentrato sui diktat socio-politici imposti dal potere militare al cittadino e non sulla rappresentazione weird-allegorica del tormento di un popolo. Se l’argomento di base è simile, la messa in scena ha tutto un altro sapore.
Quello di Djordjevic è quindi un film che procede giorno per giorno come un diario di una sbandata compagnia teatrale, una pellicola capace di cambiare marcia nella seconda parte, dove l’erotismo più fantasioso lascia spazio all’horror più crudo ed estremo. Operazione assolutamente riuscita.
(Paolo Chemnitz)