di Thomas Vinterberg (Danimarca, 2010)
Nello slang carcerario, il submarino è un tipo di tortura nella quale la vittima viene messa a testa in giù con il capo immerso dentro una bacinella piena di acqua, merda e piscio. Metafora perfetta per raccontare la vita di due fratelli invischiati in una storia di droga, alcolismo, sesso e violenza, un abisso dal quale è difficile tirarsi fuori. Durante l’incipit vediamo i protagonisti da bambini in un ambiente completamente squallido, alle prese con una madre sempre attaccata alla bottoglia e un fratellino più piccolo destinato a morire per incuria pochi giorni dopo.
Tempo dieci minuti e Thomas Vinterberg sposta la storia in avanti, seguendo parallelamente le vicende dei due, nel frattempo divenuti adulti e senza più la mamma ormai defunta. Il primo fratello (Nick) è un uomo violento appena uscito dal carcere, vive alla giornata e le uniche persone che incontra sono il suo vecchio amico disagiato Ivan e una vicina di casa ninfomane. Il secondo invece è vedovo e tossicodipendente, ha un figlio di nome Martin ma rischia di perdere l’affidamento per la sua dipendenza con la droga, problemi che prendono il sopravvento quando egli comincia a spacciare cocaina davanti alla stazione di Copenhagen.
Il regista danese, fondatore con Lars Von Trier del famoso Dogma 95 (portato da lui alla ribalta con “Festen”, ma dello stesso Vinterberg ricordiamo anche l’ottimo “Il Sospetto”), qui si cimenta in un dramma devastante dove il tema portante è quello della morte, un’ombra che segue e accompagna i due protagonisti fin dalla loro infanzia. Una situazione irreversibile generata da quei traumi infantili che restano scolpiti come cicatrici indelebili, riversandosi sulle vite allo sfascio di questi fratelli così distanti ma in fondo così devoti l’uno all’altro. Il personaggio di Nick è il più intrigante, un uomo che non ha nulla da perdere ma che riesce sempre a restare a galla per la sua forza interiore, nonostante attorno a lui regni il degrado umano più assoluto.
“Submarino” (film ispirato all’omonimo romanzo di Jonas T. Bengtsson) inspiegabilmente non è mai uscito in Italia, neppure in edizione home video, un vero peccato visto che in ambito disturbing drama si tratta di una delle migliori pellicole realizzate in Danimarca: una nazione piccola ma molto prolifica in tal senso, pensiamo ad esempio a titoli di rara potenza come “Bleeder” (1999) di Nicolas Winding Refn oppure al misconosciuto “Beast” (2011) di Christoffer Boe, film cupi, dolorosi e annichilenti, esattamente come questo in esame. “Submarino” è un tunnel grigio senza vie di fuga, segnato da una fotografia plumbea che sembra indicare la strada a un destino che non lascia speranza. Un lavoro significativo e di spessore.
(Paolo Chemnitz)
Consiglio afferrato. Non lo perderò.
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