La Tarantola Dal Ventre Nero

la-tarantola-dal-ventre-nerodi Paolo Cavara (Italia/Francia, 1971)

L’incursione di Paolo Cavara nel giallo all’italiana ha lasciato il segno, prima con “La Tarantola Dal Ventre Nero” e poi con il meno derivativo “…E Tanta Paura” (1976). Il titolo animalesco del film in esame rimanda direttamente a “L’Uccello Dalle Piume Di Cristallo” (1970), punto di partenza indiscutibile di un filone tra i più amati e prolifici del nostro cinema di genere. Così tra gatti, scorpioni, farfalle, lucertole, mosche e altre bestie associate a queste pellicole, la tarantola di Cavara riesce a ritagliarsi il suo spazio meritato, grazie a un cast di rilievo (Giancarlo Giannini, Claudine Auger, Barbara Bouchet, Stefania Sandrelli e non solo) e a una regia di ottima fattura (le belle inquadrature e i movimenti fluidi della mdp rendono l’opera sempre gradevole al nostro sguardo).
Girata a Roma in lungo e in largo, la pellicola ruota attorno a una serie di omicidi compiuti da un sadico assassino: egli paralizza alcune donne con uno spillone conficcato nel collo, per poi squartare i corpi inermi delle malcapitate con un coltello, una fine atroce che rimanda appunto al titolo dell’opera, nel quale la tarantola non è carnefice ma vittima (durante il film viene spiegato il ruolo passivo di questi aracnidi quando vengono attaccati dalle vespe, che con il loro pungiglione rendono inoffensivo ogni tentativo di reazione). Il compito di sbrogliare la matassa spetta al commissario Tellini (Giancarlo Giannini), sviato più volte nelle indagini e spesso demotivato, ma in seguito indomito e caparbio quando gli eventi precipitano pericolosamente (il colpevole, ragionando col senno di poi, non è così difficile da intuire).
“La Tarantola Dal Ventre Nero” non è certo un giallo dal plot indimenticabile, ma ha alcune frecce al proprio arco che riescono decisamente a colpire il bersaglio: le scene degli omicidi (pochi, in realtà) sono affascinanti (anche se Cavara cita sempre qualcuno o qualcosa, ad esempio i manichini di baviana memoria), in un rincorrersi di situazioni mai statiche che tengono sufficientemente alta la nostra attenzione (l’inseguimento sui tetti è girato in maniera impeccabile). Al resto ci pensa Ennio Morricone, qui artefice di una colonna sonora ancora oggi sottovalutata.
Fa un po’ sorridere osservare una tarantola rinchiusa dentro una scatoletta con dentro la cocaina (fosse stata droga per davvero, sarebbe stato curioso assistere a qualche effetto collaterale!), così come colpisce la presenza dell’attore Eugene Walter nel ruolo del cameriere (Ginetto) dalle tendenze omosessuali, lo stesso che cinque anni dopo rivedremo – ironia della sorte – nei panni del prete sessualmente ambiguo in “La Casa Dalle Finestre Che Ridono”.
Nonostante siano trascorsi quasi cinquant’anni dall’uscita del film, “La Tarantola Dal Ventre Nero” continua a essere un titolo piuttosto bistrattato all’interno del genere di riferimento: un peccato, anche perché Paolo Cavara si è sempre distinto già da quando ha cominciato la carriera come documentarista (circa quaranta lavori realizzati prima del suo ingresso nel cinema con il celebre shockumentaryMondo Cane” del 1962, diretto in combutta con Franco Prosperi e Gualtiero Jacopetti). In ambito italian giallo, siamo una spanna sopra la media.

3,5

(Paolo Chemnitz)

la tarantola dal ventre

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