di Na Hong-Jin (Corea del Sud, 2010)
“The Yellow Sea” (2010) si colloca praticamente a metà strada tra il riuscito thriller “The Chaser” (2008) e il recente eclettico “The Wailing” (2016), in tutto tre ottimi film per un regista che giustamente bada più alla qualità che alla quantità. Na Hong-Jin (classe 1974) ama le esplosioni di violenza, ma come nella migliore tradizione coreana contemporanea, è anche un raffinato poeta che dirige con classe assoluta ogni suo lavoro.
“The Yellow Sea” (“Hwanghae” nel titolo originale) è un noir urbano teso come una corda di violino, una visione di circa due ore e mezza che non ci fa mai staccare gli occhi dallo schermo. Gu-Nam, il protagonista, è un tassista che vive sommerso dai debiti in un lembo di terra cinese dove è folta la comunità sino-coreana, un luogo (la prefettura autonoma di Yanbian) nei pressi del confine tra Corea del Nord e Russia. Egli, per risanare la sua misera condizione, accetta di rientrare in Corea del Sud (dove per giunta vive sua moglie) con il compito di assassinare su commissione un uomo importante: una volta in patria però, Gu-Nam si ritrova invischiato in un gioco più grande di lui, un punto di non ritorno con due nemici da combattere, la polizia e le scatenate gang locali. Non è un caso che il regista abbia pescato un personaggio all’interno di una minoranza etnica discriminata sia dai cinesi che dai coreani stessi, la metafora di un doloroso isolamento che si riversa anche nel ritorno nella sua terra d’origine. Un individuo solo contro tutti.
“The Yellow Sea” è un film splendidamente fotografato e magnificamente interpretato, un affresco inquietante che ci mostra una Corea cupa come non mai, uno stato in mano alla criminalità e con le istituzioni poco efficaci nel contrastarla (ancora una volta i poliziotti sembrano delle macchiette che sbattono costantemente contro un muro). Il film è attraversato dall’ultraviolenza più ferale: dita mozzate, coltellate, gente uccisa addirittura con ossa di animali, ma il top è rappresentato dalle immagini della memorabile battaglia con le asce nel porto di Busan, uno snodo cruciale che trascina la pellicola in territori action di rara intensità. Una fuga continua che ci lascia con il fiato sospeso, anche se a volte Gu-Nam esce quasi indenne e in modo forzato da situazioni al limite dell’umana resistenza (se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, ecco che lo abbiamo trovato).
Na Hong-Jin ci regala il suo lavoro più nero e disperato: un prodotto tecnicamente superbo, un vero tour de force che non concede tregua a noi spettatori, soprattutto nella seconda parte, prima che sopraggiunga un finale straziante nella quiete amara del Mar Giallo (come da titolo). Il cinema di questo regista è stratificato e complesso, ma a dispetto di una storia meno originale (“The Chaser”) e di un plot più dispersivo (“The Wailing”), “The Yellow Sea” risulta il suo film più incalzante e brutale (ma allo stesso tempo quello meno apprezzato dalla critica rispetto agli altri due). Noi andiamo controcorrente, poiché siamo al cospetto di uno dei migliori thriller/noir coreani del nuovo millennio. Cinque stelle a mani basse.
(Paolo Chemnitz)