Baby Killer

baby kdi Larry Cohen (Stati Uniti, 1974)

Larry Cohen è un regista americano da sempre interessato agli aspetti sociali del cinema horror. Dietro l’apparente leggerezza dei suoi film, si celano messaggi più o meno espliciti volti a sensibilizzare lo spettatore. Questo accade ad esempio nelle sue opere migliori, come nel tagliente “God Told Me To” del 1976 (un sguardo allucinato sulla religione) o nello spassoso “The Stuff” del 1985 (una curiosa satira contro il consumismo e la pubblicità subdola).
Con “Baby Killer” (“It’s Alive” nel titolo originale) facciamo un passo indietro: è il 1974 e Cohen, con una semplice storiella di un neonato deforme che ammazza la gente con i suoi dentoni affilati, riesce a parlare di temi scottanti per l’epoca, come l’aborto, le mutazioni genetiche e l’abuso di farmaci per la fertilità. Ed è un peccato che il film soffra pesantemente di un budget risicato, perché alle valide idee messe sul piatto purtroppo non corrisponde la stessa sostanza.
Lenore Devis è in attesa del suo secondo figlio, così viene accompagnata in ospedale dal marito Frank. Il parto è travagliato e rappresenta la scena più intensa dell’opera, poiché la preoccupazione della donna e dei medici si traduce in una carneficina. Il piccolo (che non vediamo) nasce ma uccide praticamente tutti, lasciando in vita solo la madre. Nonostante presto i genitori debbano accettare il fatto che loro figlio sia un mostro, in loro scatta un senso di protezione familiare nei confronti del fuggitivo, che nel frattempo – spaventato – continua ad ammazzare la gente che incontra sul suo cammino.
Il neonato assassino in realtà appare con il contagocce, così come il sangue (che da sempre non è mai stato un elemento centrale nel cinema di Cohen). Però se togliamo l’intelligente valenza concettuale, il film si dimostra alquanto piatto e noioso soprattutto nella parte centrale (riscattandosi poi nel buon finale). È pur sempre un b-movie, ma con tutte le attenuanti possibili l’opera non lascia quelle sensazioni positive che siamo riusciti a trovare in altri lavori del regista. Resta il fatto che all’epoca “Baby Killer” riscosse una certa attenzione (non immediata ma crescente), una scia che Larry Cohen cavalcò con la realizzazione di due sequel (“It Lives Again” nel 1978 e “Baby Killer III” di nove anni successivo).
Il coraggio mostrato in questa pellicola non è trascurabile: il cinema horror è un messaggio, una metafora per raccontare le brutture della società, proprio come avviene in questo povero ma sincero prodotto americano, diretto con passione e con quella voglia di prendere le distanze dal cinema di confine che mostra solo immagini violente senza approfondirne i contenuti. Non il nostro Larry Cohen preferito, ma il rispetto è d’obbligo.

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(Paolo Chemnitz)

baby killer

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